L’accompagnamento spirituale dei malati (III-a)
I sintomi psichici possono essere come una tempesta elettrica |
Accompagnamento spirituale nella malattia mentale
Accompagnare chi soffre di ansia, ossessione o depressione, in famiglia o nella direzione spirituale, non è sempre facile. Accompagnare chi soffre di delirio a causa di una psicosi è una sfida ancora più grande.
La malattia psichica si manifesta soprattutto nell’azione e nelle funzioni più strettamente legate alla sfera psicospirituale, quali sentimenti, pensieri, atteggiamenti e comportamenti. I fattori causali sono molteplici: biologici, ambientali, sociali, sociali, psicologici, ecc.
Come detto, esiste una stretta relazione tra le dimensioni fisica, psichica e spirituale. In alcune alterazioni fisiche, i fattori psichici contribuiscono direttamente o indirettamente. L’asma, alcune malattie della pelle, le ulcere gastriche e persino le infezioni sono favorite dallo stress psicologico. I sintomi psicologici, a loro volta, possono derivare da una lesione al sistema nervoso o al sistema endocrino, o ancora da una reazione a un disturbo fisico.
D’altra parte, ci sono malattie psichiche, come alcune forme di depressione, che non si manifestano chiaramente, ma sono mascherate da sintomi fisici: dolore, alterazioni intestinali, ecc. che possono essere il riflesso di un quadro depressivo.
Distinguere tra fisico e psichico non è sempre facile. Quando un medico suggerisce come possibilità che un sintomo abbia una causa psichica, non è raro per lui sentirsi dire dalla persona: “Dottore, io non sono pazzo”. Questa difficoltà fa sì che alcuni medici evitino di insistere o approfondire la questione e prescrivano semplicemente un farmaco, che probabilmente non sarà molto efficace.
Non è neppure facile determinare se un problema di umore, ad esempio, ha radici ascetiche o spirituali. Se il direttore spirituale percepisce una possibile carenza psichica, dovrebbe dirlo all’interessato con delicatezza e prudenza, senza permettere che il problema continui a tempo indeterminato. Se è necessario andare da uno psichiatra, è importante che la persona scelga un buon professionista, che operi secondo criteri corretti e che sia il più possibile cristiano.
Esiste un’ampia classificazione delle malattie psichiatriche, ma non ci sono test di laboratorio o segni fisici evidenti per nessuna di esse. La diagnosi viene raggiunta seguendo le descrizioni fatte per consenso dei medici. Le classificazioni più comunemente usate sono il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) dell’American Psychiatric Association e la Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ICD-10).
3.1 Distinzione tra psicosi e nevrosi
La distinzione tra psicosi e nevrosi oggi non è in uso. Tuttavia, riconoscere i sintomi psicotici è essenziale, in quanto si verificano nei disturbi più gravi.
Si parla di psicosi quando la capacità di percepire, valutare e interpretare la realtà (frattura o perdita di contatto con la realtà) è seriamente alterata. Queste malattie impediscono un’adeguata valutazione del mondo. Il sintomo psicotico principale è proprio questa deformazione del senso o giudizio sulla realtà, che si manifesta in strani pensieri, affermazioni o comportamenti, evidentemente opposti al giudizio di una persona sana. Il linguaggio può essere illogico, impoverito o disorganizzato. Gli altri sintomi psicotici sono: il delirio, o convinzioni illogiche, erronee, resistenti alla critica e fortemente radicate; e le allucinazioni, o percezioni irreali (ascoltare delle voci, vedere forme o persone inesistenti, sentire degli odori irreali, ecc.). Di solito i pazienti non riconoscono di essere malati e quindi non riconoscono neanche la necessità di curarsi.
La più evidente caratteristica dell’atteggiamento della persona con questi sintomi è l’incomprensibilità del suo comportamento, che ha qualcosa di assurdo. L’osservatore si scontra con una parete impenetrabile. Ogni tentativo di persuasione è inutile.
Il nome nevrosi era utilizzato per designare i disturbi senza una base organica dimostrabile o manifestazioni psicotiche. Le persone nevrotiche hanno una particolare capacità di auto-osservazione, mantengono il contatto con la realtà e sono più o meno consapevoli della natura patologica dei loro sintomi. Riescono a svolgere le loro attività in modo accettabile. La nevrosi sarebbe come una reazione anomala – ma generalmente comprensibile – a certe situazioni limite, esterne o interne, che il soggetto soffre; tutti noi possiamo rispondere in modo nevrotico ad un certo tipo di stimolo, forse per la sua intensità o perché dura a lungo. Può acquisire diverse forme patologiche: fobie, ossessioni, insonnia, ecc.
3.2 Schizofrenia, disturbo delirante e breve disturbo psicotico
Esamineremo i disturbi con i sintomi psicotici più rappresentativi. Prima di tutto, la schizofrenia, che non consiste in una scissione della personalità, come a volte si pensa. L’etimologia greca del termine contribuisce alla confusione, perché significa io – o spirito – diviso. In realtà, lo sdoppiamento avviene tra le emozioni e la dimensione cognitiva.
È comune, con una prevalenza dell’1% nella popolazione generale. Si presenta con perdita di contatto con la realtà, allucinazioni – di solito uditive -, delirio e altre anomalie di pensiero, cui si aggiungono alterazione dell’affettività, riduzione della motivazione e dell’impegno nel funzionamento sociale e lavorativo. La causa, come in tutte le psicosi, è organica, anche se il difetto esatto non è noto. Esiste una predisposizione genetica documentata.
Può apparire in forma acuta, in pochi giorni, o lentamente, nel corso degli anni. Di solito si manifesta tra i 18 e i 25 anni e raramente dopo i 40 anni, anche se può presentarsi prima o dopo queste età. I fattori di stress che ne innescano l’insorgenza o la ricorrenza possono essere psichici: la lontananza da casa per qualche motivo, la fine di una relazione affettiva, e soprattutto le situazioni fortemente emotive. Esistono anche fattori chimici: tra gli altri, vi sono sostanze tossiche come la marijuana, la cocaina e gli psicostimolanti.
Con l’assunzione di farmaci chiamati genericamente “antipsicotici”, i sintomi vengono rapidamente eliminati o ridotti. Il 70% dei pazienti schizofrenici riesce a condurre un’esistenza normale sotto molti aspetti. Prima si inizia il trattamento, migliori sono i risultati. I farmaci devono essere assunti regolarmente per tutta la vita, eppure possono esserci dei periodi in cui nonostante ciò i sintomi ricompaiono. È essenziale convincere la persona della necessità di prendere le medicine. Bisogna aiutarla a capire, con prudenza e senza contraddirla direttamente, che ha un problema di salute e darle fiducia. Attorno a lei si deve creare un clima particolarmente sereno, che le si mostri favorevole e le dia sicurezza.
Quando la malattia si ripresenta, nelle ricadute, i sintomi sono di solito simili all’episodio iniziale. È di grande utilità per la persona imparare a riconoscere i primi avvertimenti: per esempio, qualche difficoltà a dormire o a concentrarsi, preoccupazioni, sensibilità esagerata, mal di testa, non riuscire a pensare in modo chiaro, e così via. I membri della famiglia possono anche notare che il malato è più isolato, più irritabile o ansioso. In questo modo, potrebbe essere possibile recarsi quanto prima dal medico e prevenire le crisi.
Bisogna essere anche consapevoli dei sintomi negativi che possono accompagnare la schizofrenia. Essi consistono in un’affettività – sentimenti, emozioni, passioni e tono dell’umore – poco reattiva o appiattita: questi malati hanno maggiori difficoltà ad esercitare le attività quotidiane e trascurano ciò che si riferisce a se stessi e agli altri, con un disinteresse patologico. Per questo motivo, cadono più spesso nell’alcolismo, nella tossicodipendenza o in idee suicide. Un malato che comincia a sentirsi particolarmente disperato o depresso richiede un’attenzione urgente.
Il disturbo delirante è caratterizzato dalla presenza di una o più convinzioni errate (deliri) che persistono per almeno un mese; di solito è cronico. Le idee che si esprimono nel delirio sono stravaganti, ma includono situazioni plausibili, come sentirsi controllati, essere amati o avvelenati, essere chiamati ad una funzione di particolare importanza nel mondo (essere un messia, un liberatore o rivoluzionario), avere una malattia, e così via. Si verifica nell’adulto di mezza età o più tardi. A differenza della schizofrenia, le funzioni sociali possono essere meno alterate.
Ci sono diversi tipi di disturbi deliranti, precedentemente noti come stati paranoici: megalomania, o convinzione di possedere grandi talenti o di aver fatto una scoperta favolosa; gelosia, ossia convinzione dell’infedeltà del coniuge; persecuzione, cioè persuasione di essere vittima di un complotto; somatico, vale a dire il delirio legato ad una funzione corporea, come la fissazione di avere qualche deformità fisica.
Vale la pena notare che la paranoia, o il pensiero patologico di essere continuamente minacciati, perseguitati o sottovalutati, è un sintomo e non una malattia specifica. Può avere gradi e apparire nel disturbo delirante e nella schizofrenia, oppure essere un tratto molto marcato della personalità.
La paranoia e altri deliri cronici, anche se patologici, passano spesso inosservati. Le persone colpite possono essere intellettualmente brillanti e produttive nel loro lavoro. Sono apparentemente normali in molti campi della loro attività e del loro comportamento. La caratteristica è che presentano idee deliranti con una struttura interna coerente: all’interno della storia che raccontano e che sembra insolita – questo è percepito dai sani – c’è un ordine e una concatenazione tale tra i fatti narrati dal paziente, da conferire ad essa una parvenza di verosimiglianza. In alcuni casi, il delirio è appena percettibile, in quanto i soggetti riescono a sviluppare bene il lavoro intellettuale o manuale, anche se la malattia è evidente a chi ha a che fare con loro da vicino.
Non è opportuno contraddire direttamente il paziente nel suo delirio, perché non accetterà ragioni e contraddirlo potrebbe significare la rottura del dialogo; però non si dovrebbe neppure dirgli che ha ragione. A volte sono i pazienti così coinvolti nella loro fantasia che non possono vivere una vita normale. È difficile convincerli ad andare dal medico ed è necessario avere pazienza, cercando alcuni punti di contatto: far loro prendere in considerazione delle difficoltà che siano disposti a riconoscere, incoraggiarli ad un controllo della salute generale o cercare un rimedio per una possibile alterazione dei sogni, per l’ansia, l’inquietudine, l’irrequietezza, ecc. Nel disturbo delirante, gli antipsicotici sono meno efficaci che nella schizofrenia; lo scopo della terapia a volte è quello di deviare l’idea illogica in aree di interesse gratificanti e non pericolose.
Nel delirio cronico, l’assistenza spirituale è complessa, soprattutto se il delirio è di tipo religioso, a causa della difficoltà che hanno queste persone nell’accettare le cure.
Il disturbo psicotico breve è caratterizzato da sintomi psicotici che durano almeno un giorno e meno di un mese. In seguito, la persona ritorna al suo livello operativo precedente. Può verificarsi come un episodio isolato o essere il primo segno di una schizofrenia o di un disturbo bipolare. Si osserva anche in alcuni disturbi di personalità. Può essere innescato da un evento stressante, come la perdita di una persona cara o un cambiamento di ambiente.
Questi tre disturbi sono trattati in modo simile. Non è sempre facile stabilire una sola diagnosi, perché, come per molti quadri psichici, si manifestano intrecciati con altri. Se si scoprono sintomi psicotici, è essenziale che la persona faccia riferimento al più presto ad uno psichiatra.
Al paziente e ai suoi parenti si deve cercare di trasmettere molta pace. È utile aiutarli ad avere fiducia nei medici e molte volte bisogna chiarire un argomento centrale: non c’è colpa da parte del soggetto o della famiglia. Queste malattie rappresentano anche un segno, forse più misterioso, dell’amore di Dio. Si deve cercare di rimuovere i pregiudizi che spesso accompagnano le malattie psichiatriche, e anche la paura che sorge di fronte ad una diagnosi associata al concetto peggiorativo di pazzo.
È importante che i parenti e coloro che si relazionano con queste persone, così come il direttore spirituale, imparino a riconoscere e gestire alcuni aspetti della malattia. In questo modo si comprende meglio la loro sofferenza e si aiutano più efficacemente nella cura e nella prevenzione come pure nella loro vita di fede, che è inseparabile dal modo in cui sopportano la loro malattia. Inoltre, si ottiene un rapporto o una coesistenza più amichevole e serena; la comprensione porta a diminuire le paure ingiustificate, le ansie, la fatica, ecc. La vita spirituale dei malati e delle loro famiglie cresce se la malattia viene accettata con una visione soprannaturale, non come punizione divina, ma come occasione per amare di più.
In molte malattie con sintomi psicotici, nelle fasi asintomatiche, l’attenzione spirituale sarà come quella prestata a qualsiasi paziente cronico, con i seguenti suggerimenti per crescere nella visione soprannaturale: accettare la patologia e offrirla, lasciarsi aiutare, seguire indicazioni mediche, non abbandonare le pratiche di pietà. Ecco alcuni pensieri tratti dalla lettera di un buon cristiano affetto da schizofrenia: «La vita è stata ed è così dura, ma ho sempre fiducia nel Signore che mi aiuterà. Ora che sono passati tanti anni, scopro sempre qualcosa di nuovo nel mio rapporto con Dio e con gli altri (…). Quando ne ho bisogno, in mezzo alla sofferenza, trovo una risposta che preferisco tenere per me, e quindi sono felice. Credo in Gesù e ho anche la speranza di guarire».
3.3 Disturbi d’ansia
L’ansia è parte della risposta allo stress o al pericolo. Coinvolge l’organismo con reazioni fisiologiche: tachicardia, sudorazione, aumento della pressione sanguigna e della frequenza respiratoria, ecc. Rappresenta un meccanismo di difesa che anticipa la percezione del rischio e porta a confrontarsi con esso. Per questo motivo, tutti noi ne abbiamo un’esperienza diretta e siamo in grado di comprendere immediatamente la nostra ansia e quella degli altri.
Se non riusciamo a superare una situazione o se lo stato di allarme non corrisponde a qualcosa di reale, la risposta è sproporzionata o ingiustificata. Questo può portare ad una malattia mentale: i cosiddetti disturbi d’ansia, noti in passato come malattie nevrotiche.
Esistono anche numerosi disturbi organici che causano ansia: ipertiroidismo, ipoglicemia, scompensi cardiaci, aritmie, malattie polmonari, intossicazioni, sindromi di astinenza da alcol o droga, effetti avversi dei farmaci, ecc.
Prenderemo in considerazione solo qualche disturbo. Il disturbo ossessivo-compulsivo sarà spiegato più avanti. Inizieremo con gli attacchi di panico, in quanto sono frequenti e molto rappresentativi di ciò che accade nell’ansia estrema. Essi si presentano con un inaspettato e intenso sentimento di paura e angoscia, che non corrisponde ad alcun pericolo reale. Le manifestazioni somatiche sono spettacolari: palpitazioni, sudorazione, tremore, soffocamento, dolore opprimente al petto che simula un attacco cardiaco, nausea, vertigini, paura di perdere il controllo o impazzire, o morire… L’attacco inizia all’improvviso e raggiunge l’intensità massima in circa 10 minuti. Di solito non dura più di mezz’ora. Causa grandi sofferenze e il logico desiderio di fuggire dai fattori scatenanti.
Nelle fobie, ci sono manifestazioni simili ad attacchi di panico in certe situazioni. Ne esistono molti tipi. La fobia sociale consiste nell’evitare circostanze in cui il soggetto è esposto al giudizio altrui: c’è una paura irrazionale di essere ridicoli o di agire in modo inappropriato. L’agorafobia è la paura dei luoghi aperti: si ha paura che possa accadere qualcosa di brutto e non si riesca a fuggire in un rifugio sicuro o a trovare aiuto; può verificarsi in eventi di massa, mentre ci si trova su di un mezzo di trasporto, ecc. Le fobie specifiche sono molto varie: di animali, di luoghi chiusi, del sangue, ecc.
I disturbi post-traumatici da stress sono la conseguenza di un evento straordinariamente stressante: un incidente, una guerra, un terremoto, ecc. Oltre all’ansia, ci sono di solito alterazioni dello stato di coscienza e della memoria.
Il disturbo d’ansia generalizzata inizia di solito nel terzo decennio della vita e può essere complicato da sintomi depressivi. L’ansia e un’eccessiva preoccupazione sono presenti quasi tutto il giorno, in molte circostanze, per almeno sei mesi. Si differenzia da un nervosismo per così dire normale, perché la persona non è in grado di controllare il sintomo il che provoca continue tensioni, irritabilità, stanchezza, difficoltà di concentrazione e di memoria, problemi di sonno, e così via.
Quando si sperimenta personalmente l’ansia – nervosismo – o la si vede in altri, la prima cosa da fare è cercare di identificarne il motivo. Se questo non viene trovato, il problema è sicuramente più legato ad una mancanza di salute mentale. Esiste una serie di semplici contromisure, utili come prima scelta:
- Sostegno fisiologico: cura del sonno; sport regolare, preferibilmente con altri; camminare 30-40 minuti al giorno; esercizi di rilassamento, come la respirazione diaframmatica.
- Ridurre l’uso di alcool, caffeina e stimolanti; il tabacco è usato da persone ansiose, ma ha numerosi effetti dannosi sull’equilibrio psicofisico.
- Se l’ansia non si riduce e/o la vita normale diventa difficile, è consigliabile consultare un medico. L’uso di ansiolitici per alcuni giorni o settimane può essere sufficiente.
I disturbi d’ansia sono vere e proprie malattie e, grazie a Dio, molti di essi possono essere guariti. Non sono un segno di debolezza o il frutto di difetti personali. La diagnosi precoce e la terapia sono importanti per ottenere buoni risultati.
Oltre agli ansiolitici, sono utili anche alcuni antidepressivi. La psicoterapia ha un ruolo egualmente positivo: si esplorano i possibili conflitti nascosti che condizionano la paura patologica, cercando modi per contrastarla, e si modificano gli stili di gestione delle difficoltà, cercando di identificare i meccanismi più sani che generano meno angoscia. Di solito si indicano esercizi di difficoltà progressiva per affrontare a poco a poco l’angoscia che alcuni stimoli o luoghi provocano, come salire ogni tanto sull’autobus, uscire per un breve periodo da casa, ecc. L’idea è controllare l’ansia con piccoli passi avanti, finalizzati al superamento di situazioni di stress.
È utile all’accompagnatore spirituale sapere che un paziente con disturbi d’ansia mette duramente alla prova le relazioni familiari a causa del suo comportamento, che può apparire incomprensibile e alterare i piani altrui, o a causa delle sue reazioni che trasmettono una mancanza di pace. Si deve sempre cercare di essere comprensivi e pazienti. Più che in altre sofferenze, è necessario rimanere calmi, parlare con serenità, senza discutere di paure illogiche: suggerire di riporre la loro fiducia in Dio, che è Padre e provvede a tutto per il bene di coloro che lo amano. Sarà bene aiutarli a meditare su cosa sia riposare nel Signore, che è la principale fonte di serenità e pace.
3.4 Ossessione e compulsione
L’ossessione e la compulsione si verificano in un’ampia varietà di malattie. Il disturbo ossessivo-compulsivo può essere legato ai disturbi d’ansia o ad una personalità patologica. C’è anche una tendenza all’ossessione, che non giunge ad essere una malattia ma rimane come un tratto o caratteristica della personalità. Spiegheremo ora il più classico dei disturbi: il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD)[20]. Colpisce circa lo 0,5% della popolazione generale.
L’ossessione, dal latino obsessio (assedio), consiste nell’avere delle idee, pensieri, impulsi o immagini che non possono essere rimossi dalla mente. Questi entrano nella mente in modo arrogante e si percepiscono come qualcosa di irrazionale, incontrollabile, assurdo e angosciante. Non sono un semplice pensiero indesiderato che finisce per scomparire e che, come molti hanno sperimentato, è frequente in stati di tensione, ansia, mancanza di sonno o stanchezza, che favoriscono il rimuginare le idee. A volte, se si tenta di eliminare un pensiero involontario in modo troppo forte e diretto, l’ansia può aumentare e può risultare più difficile toglierlo dalla mente.
Il termine compulsione, d’altra parte, indica il comportamento impetuoso che accompagna l’ossessione. La compulsione si innesca come mezzo per ridurre l’ansia generata dal fenomeno ossessivo. È un impulso irresistibile ad agire in un certo modo, per verificare che ciò che è stato pensato non sia vero o per evitare un presunto pericolo. L’esempio più tipico è quello di lavarsi continuamente le mani quando si è ossessionati da una possibile contaminazione. Gli atti riducono solo momentaneamente l’angoscia, a differenza di quanto accade quando un normale desiderio viene soddisfatto.
Nell’OCD la persona sperimenta ossessioni involontarie e assurde, che non possono essere messe da parte e gli causano un onere tale che non è in grado di svolgere le sue normali attività. I temi più comuni sono la paura di essere contaminati da germi, i dubbi (“Ho spento la luce?”, “Ho chiuso la porta?”), l’ordine o la simmetria, gli impulsi aggressivi (ad esempio gridare delle oscenità o mancanza di controllo sulla sessualità), ecc.
Si tratta di una malattia cronica che diventa acuta in situazioni di stress. Può essere complicata da depressione e associarsi ad altri disturbi. L’esistenza di fattori genetici causali è stata confermata. È noto che in questo disturbo ci sono alterazioni nel funzionamento di alcuni nuclei cerebrali. Questa condizione può verificarsi anche nei bambini, a causa delle tossine prodotte da alcuni germi che causano tonsillite.
Nel trattamento dell’OCD, sono appropriate le misure generali menzionate negli altri disturbi d’ansia. Non tutti coloro che attraversano un periodo di maggiore ossessività sono malati, ma se i sintomi non scompaiono presto e l’ansia aumenta o ci sono compulsioni, sarà necessaria la terapia medica. Ci sono farmaci efficaci che riducono l’ossessione e la compulsione. Le persone che li rifiutano hanno una prognosi peggiore e possono essere affette da altri disturbi, come il disturbo paranoico della personalità. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, in cui vengono date linee guida per modificare idee ossessive e i rituali compulsivi, è anche efficace.
È importante non incoraggiare le compulsioni di una persona malata, come potrebbe accadere se un membro della famiglia anticipasse l’apertura delle porte in modo che l’altro non si contamini, o se si rendesse più facile che il malato si lavasse continuamente, ecc. Davanti a domande compulsive e continue – che si possono notare nella direzione spirituale – del tipo: “lo sto facendo bene?”, “Ho detto abbastanza dettagli su questo argomento?”, “Ho chiuso la porta?”, “Il numero di telefono che ho dato è giusto?”, ecc., si deve evitare la possibile rabbia o cadere in beffe sarcastiche; non serve nemmeno rispondere come se non fosse successo nulla, per dare tranquillità. Si può invece dire con calma che già si è risposto a quella domanda: poco a poco si deve aiutare il malato a notare la sua sintomatologia patologica. Bisogna agire e rispondere sempre con calma, con un sorriso, in modo che la persona possa capire il suo modo di agire e impari ad esercitare la pazienza con se stesso e con gli altri. Si deve cercare di semplificarli interiormente, consigliando loro di vivere una vita forse di infanzia spirituale, e comunque di più abbandono in Dio, e di pensare abitualmente agli altri.
3.5 Disturbi dell’umore
Si parla di disturbi dell’umore quando c’è un’alterazione dell’umore, per eccesso o per difetto. Ci sono disturbi unipolari (depressivi) e bipolari (maniaco-depressivi)[21].
Depressione e mania sono due poli. La depressione si manifesta con un tono di umore basso, perdita di interesse e di iniziativa, lentezza nei processi psichici e motori, pessimismo, indecisione e senso di colpa. La mania, d’altra parte, si presenta con euforia, eccitazione psicologica e motoria, disinibizione, ottimismo senza causa, apprezzamento esagerato delle proprie capacità, molteplici iniziative e attività non pianificate, ecc. Un grado minore è l’ipomania: si riscontra in persone che spesso vivono al di sopra della normale felicità e tendono ad essere iperattive e impulsive.
La mania compromette il giudizio e il comportamento sociale. Porta a decisioni disastrose che vengono prese con straordinaria fretta, in famiglia, in ambito economico, ecc. e a comportamenti scorretti, ad esempio in ambito sessuale. Un episodio maniacale è molto sorprendente, può accadere in poche ore ed essere accompagnato da idee deliranti (di grandezza). Questi pazienti sono evidentemente sovreccitati, hanno piani e progetti molteplici, manifestano una grande energia fisica e poco bisogno di dormire.
Gli estremi patologici della depressione e della mania devono essere distinti dalla tristezza e dalla gioia, anche se il limite non è perfettamente definito. Nella malattia, manca la proporzione tra stimolo e reazione, mentre la durata o l’intensità della risposta non è né logica né equilibrata, e si verifica una disfunzione nella vita personale, lavorativa o relazionale.
Sono molte le condizioni che alterano l’umore. Esistono anche depressioni transitorie, che insorgono in reazione ad alcune festività in cui si sente la mancanza dei propri cari, in anniversari di eventi luttuosi, o, nelle donne, nei periodi premestruali o dopo il parto. Possono presentarsi anche in situazioni di stress professionale prolungato, come il burnout di chi lavora aiutando gli altri (personale sanitario, assistenti sociali, insegnanti, ecc.) ed è sottoposto a continue tensioni emotive provocate dal contatto con dolori fisici o psicologici, a fatica cronica, ecc. La stanchezza o fatica, a sua volta, può essere normale o essere segno di altre malattie psicologiche o fisiche: anemia, ipotiroidismo, diabete, infezioni, tumori. Nel disturbo da deficit di attenzione e iperattività degli adulti (ADHD), prolungamento del quadro iniziato nell’infanzia, l’ansia e la depressione sono frequenti.
Alcuni periodi critici della vita favoriscono la comparsa di sintomi depressivi, come l’adolescenza, la crisi di mezza età (attorno ai 40 anni) o la vecchiaia. Il processo di menopausa, che rappresenta la fine dei cicli ormonali della donna, è un fattore biologico che può alterare l’umore ed innescare episodi depressivi. Si manifesta in prossimità dei 50 anni e presenta numerosi sintomi di varia intensità e frequenza: vampate di calore e sudorazione, difficoltà di sonno, vertigini, tachicardia, formicolio, dolori articolari e muscolari, problemi intestinali, ecc. La terapia ormonale sostitutiva è efficace, ma ha effetti avversi che dovrebbero essere valutati dal medico.
L’esatta causa dei disturbi dell’umore non è nota, ma la biochimica cerebrale risulta alterata. C’è un’interazione tra fattori biologici (cambiamenti ormonali e dei neurotrasmettitori nel cervello), genetici, psicosociali (circostanze stressanti nella vita affettiva, lavorativa o relazionale) e della personalità. L’eredità genetica è importante, specialmente nel disturbo bipolare. Alcune caratteristiche della personalità che favoriscono la depressione sono l’instabilità emotiva, il sentimentalismo, il nervosismo, l’insicurezza e il perfezionismo. Esistono anche farmaci che possono causare sintomi depressivi: gli antipertensivi, i medicinali per il Parkinson, la chemioterapia, i contraccettivi, ecc. A volte la depressione è associata a disturbi organici come il morbo di Parkinson.
Prima di descrivere i disturbi dell’umore, è importante chiarire la terminologia. Si parla di depressione maggiore per riferirsi ai classici episodi depressivi di cui parleremo. Il termine “maggiore” indica non tanto la gravità, ma il numero di sintomi. La distimia è una forma di depressione meno grave ma cronica, che di solito è legata ad una personalità vulnerabile (precedentemente chiamata depressione nevrotica) e questa associazione complica sia il trattamento sia la prognosi, in quanto ci sono due problemi che devono essere risolti. Ci sono depressioni reattive, in cui un evento altamente emotivo, come la perdita di una persona cara, la separazione coniugale, la rottura di una relazione affettiva (fidanzamento o amicizia), la perdita di un lavoro, la diagnosi di una malattia grave, ecc., è la causa scatenante. Le depressioni endogene sarebbero invece quelle senza una causa esterna, più legate ad alterazioni biologiche cerebrali. Le depressioni reattive sono anche collegate a volte al lutto patologico, che è un quadro depressivo che ha origine dopo la morte di una persona cara, quando la tristezza è eccessiva troppo prolungata o di insolita intensità, con pensieri di colpa o idee strane che possono essere deliranti. Esiste anche una forma fluttuante di tristezza ed euforia che dura ore o pochi giorni e non raggiunge la gravità della depressione o della mania: si chiama ciclotimia.
Depressione
In tutte le sue forme, la depressione colpisce fino al 15% della popolazione in un dato momento della vita. Il sintomo guida è una diminuzione dell’umore, con una perdita di interesse e la capacità di godere di tutte o quasi tutte le attività. Comprende la tristezza, la disperazione, l’apatia, la mancanza di iniziativa e l’irritabilità. La manifestazione più comune è l’incapacità di sperimentare la gioia e sentire le cose come prima. Altri sintomi sono: ansia, insonnia (spesso si svegliano molto presto), perdita di appetito e di peso, difficoltà di concentrazione, diminuzione del desiderio sessuale, sensi di colpa, rovina, condanna e morte. Ci sono forme psicotiche che a volte si presentano con delirio e danno luogo ad una psicosi depressiva. Nella depressione si aggiungono spesso manifestazioni somatiche come cefalea, dolore, formicolio, vertigini, alterazioni intestinali e cardiovascolari. La malattia depressiva dovrebbe essere sospettata quando le manifestazioni di tristezza immotivata o sproporzionata durano più di due settimane.
Lo psichiatra tedesco H. Tellenbach ha definito in buona parte di questi pazienti il Typus melancholicus, le cui caratteristiche sono un eccessivo desiderio di ordine in relazione al mondo e un alto livello di esigenza, che si riflette nella vita professionale e nelle relazioni interpersonali, in scrupoli e in una difficile tolleranza al minimo senso di colpa. È comune trovare in misura esagerata le seguenti caratteristiche: perfezionismo e desiderio di ordine, responsabilità e onestà, sensibilità, auto-esigenza e intolleranza, senso del dovere e inflessibilità, ricerca di prestazioni ottimali, autostima dipendente dall’opinione altrui, cambiamento di umore e ossessività. Questo modo di essere, simile a quella che oggi è conosciuta come personalità ossessivo-compulsiva o anancastica, porta a vivere con grande tensione psichica e con l’età può produrre depressioni.
Nel compito di formazione e accompagnamento spirituale è utile scoprire questi tratti e guidare le persone in modo che si sviluppino in ciò che hanno di positivo. In questo modo si contribuisce alla prevenzione, anche se la depressione non è un segno di debolezza o una condizione che dipenda dalla volontà della persona. I depressi non si sentiranno meglio per il fatto di impegnarsi di più, o perché dimostrano buona volontà o perché lottano per non essere demoralizzati. Le personalità vulnerabili o fragili possono cambiare cambiando il loro modo di vivere.
Disturbo bipolare
Il disturbo bipolare era chiamato psicosi maniaco-depressiva, per evidenziare la presenza di sintomi psicotici. Consiste nell’alternanza di periodi depressivi come quelli appena descritti, ed episodi di mania, con tempi asintomatici. Di solito ci sono manifestazioni di entrambe le fasi già dalla gioventù. Un singolo episodio di mania chiara è sufficiente per fare la diagnosi di disturbo bipolare e differenziarla dalla depressione unipolare.
I disturbi bipolari hanno frequenti ricadute e richiedono un trattamento permanente con stabilizzatori dell’umore (come i sali di litio). La mania ha bisogno di cure mediche urgenti.
Affrontare i disturbi d’animo
Il modo in cui si può aiutare una persona con un disturbo dell’umore dipende dalla situazione o dalla fase in cui la persona si trova. Nella mania, come quando ci sono sintomi psicotici, le parole sono inefficaci: è necessario l’uso di farmaci. Nelle fasi depressive, il sostegno della direzione spirituale fornisce valide risorse per comprendere il problema, ma c’è anche bisogno di farmaci. Tra una crisi o dopo la guarigione, i tratti di personalità che predispongono alla depressione possono essere affrontati, con l’intervento di esperti.
Durante la terapia, i familiari, gli amici o l’accompagnatore spirituale possono rafforzare i consigli dei professionisti e dare fiducia nei buoni risultati che si otterranno con i farmaci, che iniziano ad agire dopo due o quattro settimane di trattamento. Bisogna sapere che la depressione è una malattia di solito curabile: 2/3 dei pazienti rispondono bene al primo farmaco. La remissione completa si ottiene in oltre l’80%. Nei casi più gravi, come quando compaiono pensieri di suicidio, può essere necessario un ricovero ospedaliero.
Per aiutare queste persone non ci sono regole universali: ognuna è diversa e deve essere trattata in modo diverso. Serve qualcosa che porti la persona ad uscire da se stessa, a guardare Dio e gli altri con l’umorismo di cui sia capace, umorismo fondato nella gioia dei figli di Dio. Costoro possono provare a controllare la loro immaginazione e vivere giorno per giorno. È necessario ascoltarli con calma, tutte le volte che vogliono. Gli incoraggiamenti generici sono di scarsa utilità. Non si può semplicemente chiedere loro uno sforzo di buona volontà, perché sono indeboliti. Nemmeno sono utili i confronti di questo tipo: “Ci sono molti che stanno peggio di te”.
Se queste persone rifiutano le cure mediche, è utile ripetere quanto il medico ha probabilmente già spiegato loro: i farmaci attualmente in uso non alterano la personalità, non cambiano il modo di pensare né interferiscono in misura significativa con il lavoro o la vita sociale. Non causano neppure una grave dipendenza, anche se utilizzati, a seconda delle necessità, per mesi o anni. Al contrario, facilitano la serenità e la pace.
È necessario cercare di far sì che il malato si allontani da ciò che sente, senza identificarsi con il suo stato d’animo; infondere speranza e chiedere fiducia e pazienza. Vi è spazio per argomenti positivi, come l’esperienza che essi acquisiranno, per aiutare gli altri, e anche una migliore conoscenza di se stessi. Si deve ricordare loro che non serve cercare continuamente una causa, una ragione che giustifichi la loro situazione, perché questa ricerca aumenta la tendenza all’autocritica e favorisce ulteriori sensi di colpa e inadeguatezza.
Possono offrire a Dio la loro tristezza, anche a posteriori – quando si riprendono e si vedono più oggettivamente – con la gioia della fede, che non è né fisiologica né psicologica. È utile aiutarli a capire che Dio permette queste malattie, che dobbiamo imparare a santificarle, perché sappiamo che tutte le cose cooperano per il bene di coloro che amano Dio (cfr. Rm 8, 28). Sarà comunque difficile per loro capire che hanno una malattia come tante altre, che è un tesoro da cui attingere molti beni. In nessun modo dovrebbe essere considerata una punizione. Quindi, che pensino all’omnia in bonum! (tutto è per il meglio!), e abbiano in mente che offrire a Dio il disagio non significa che tale disagio sparirà immediatamente.
È fondamentale che queste persone si sentano capite. L’affettività del paziente tende a deformare tutto, quindi bisogna verificare i sentimenti e far sì che veramente siano capiti, amati e rafforzati in quanto hanno di buono. A volte è più importante che si sfoghino che il fatto di ricevere dei consigli. C’è il rischio che prendano per un ordine o un rimprovero i semplici suggerimenti di direzione spirituale.
I consigli spirituali dovrebbero aiutare, per quanto sia possibile, ad avere più fiducia in Dio, nell’aiuto della Madonna e nell’intercessione dei santi. Servirà loro avvicinarsi a Gesù nel tabernacolo, curare la preghiera mentale e vocale, il contatto filiale con Dio Padre, l’abbandono e la vita di infanzia spirituale. È consigliabile raccomandare testi e temi per la loro preghiera personale: a volte, semplicemente guardando delle fotografie, possono rivolgersi a Dio sotto forma di ringraziamento, ammirazione, adorazione silenziosa, ecc. È utile incoraggiarli ad un’abbondante preghiera di supplica, proponendo loro alcune intenzioni: la Chiesa, le persone care, tutte le anime. I suggerimenti e gli obiettivi devono essere facili e concreti, raggiungibili e stimolanti, e affrontati in modo tale, d’accordo con la persona, da favorire la sua autonomia e la sua libertà di spirito.
Perfino le idee negative e le ossessioni, se ce ne sono, possono aiutarli a pregare: piuttosto che lottare per sopprimerle direttamente, può servire dare a queste idee meno importanza e usarle anche per risvegliare la vita di pietà, per dire in quel momento qualcosa a Dio. Questo può essere un’ottima prova di fede. È utile anche suggerire loro dei dettagli che facilitino la consapevolezza della presenza di Dio, per i quali si sentano in qualche modo attratti e che siano in grado di fare. Possono continuare a coltivare la conoscenza dello Spirito Santo e chiedere il suo aiuto.
Se hanno l’abitudine di fare un esame di coscienza quotidiano, questo dovrebbe essere facile e breve. Sarà sufficiente considerare poche cose e magari fare un piccolo proposito: ad esempio, ripetere una breve invocazione ogni tanto. Un eccessivo autoesame non serve e porta con sé numerose difficoltà.
Con una terapia adeguata, la maggior parte dei pazienti depressi sarà in grado di svolgere sin dall’inizio della malattia, o dopo un breve periodo, il proprio lavoro, di dedicarsi alle attività familiari, alle pratiche abituali di pietà, ecc. Di solito non ci sono motivi, se non in casi di particolare gravità, per smettere di partecipare alla Messa o non vivere altre devozioni che magari avevano prima, come recitare il rosario o qualche momento di preghiera mentale. In generale, è consigliabile che seguano un orario lungo la giornata, che includa l’ora di andare a dormire e di svegliarsi. Spesso hanno bisogno di più sonno del solito, anche nel corso della giornata. Il medico potrà aiutarle a concretizzare meglio i dettagli.
È bene che il loro tempo sia occupato e non rimangano nell’inattività. Forse in alcuni giorni saranno solo in grado di leggere qualcosa di divertente o di risolvere semplici problemi, ma è importante che si sentano utili, e che lo siano davvero: i fastidi offerti a Dio sono già un tesoro. È importante aiutarli a fuggire dalla solitudine, dal chiudersi in se stessi, e allo stesso tempo dare loro soluzioni pratiche. Di solito non è una cosa buona che siano sempre soli – salvo indicazioni mediche – o isolati, ad esempio nei fine settimana. I membri della famiglia possono prendere l’iniziativa: suggerire loro un programma, chiedere cosa desiderano, accordarsi su chi può accompagnarli a fare una passeggiata, comprare qualcosa, ecc. senza mai costringerli.
Se compaiono in queste persone atti contrari alle virtù, quali mancanza di sobrietà, una sensualità non controllata, ecc., si può cercare di far loro capire che quando non si sa come comportarsi bene, non è mai una soluzione comportarsi male. La malattia non deve essere una scusa per permettersi di compiere atti contrari alla legge morale. Ciò non toglie che esistono patologie capaci di diminuire la responsabilità morale di alcune scelte e, in casi estremi, di annullare la libertà del malato. L’amore di Dio e la sua grazia, che non manca mai, permettono di curare anche la salute spirituale.
Nei momenti di depressione può essere più difficile combattere le tentazioni, tra l’altro perché le difese sono diminuite e si hanno meno risorse psichiche per combatterle. Può dare pace ai malati ricordare loro la differenza tra sentire e consentire, e l’importanza degli atti di contrizione e di ringraziamento.
Durante il processo depressivo, o una volta superata la fase acuta, quando si fa il bilancio, queste persone potrebbero volersi distaccare da tutto quello che in precedenza apparteneva alla loro vita: il matrimonio, un percorso vocazionale, il lavoro, gli amici, ecc. Bisogna ricordare loro che una situazione psichica alterata non rende facile il prendere decisioni importanti, e incoraggiarle magari ad aspettare. Quando saranno guarite, saranno in grado di pensare con più calma. In ogni caso, è opportuno far vedere loro che ci sono alcuni obblighi, come il matrimonio, in cui possono aver già impegnato definitivamente la loro volontà e che quindi non possono ignorare. Non considerare questi impegni può far danno non soltanto a loro, ma anche agli altri, come al coniuge o ai figli. Dio non li abbandonerà e potrà ridare loro la forza per seguire fedelmente un certo cammino.
Questi pensieri sono un’opportunità per aiutarli a vedere cosa potrebbe cambiare. Piuttosto che distruggere irrimediabilmente ciò che una volta apprezzavano, possono valutare, con l’appoggio del medico, quali aspetti vivevano forse in modo sbagliato: dove c’era più perfezionismo che amore, o un attivismo sterile, una doppia vita, un rapporto problematico con l’autorità, delle difficoltà di carattere, ecc. Alcuni stati di stanchezza sul lavoro, che esistono anche in coloro che si dedicano a compiti o iniziative di apostolato cristiano, possono essere evitati con un adeguato riposo, cambiamenti di attività che permettono lo sviluppo di diversi interessi, il sostegno della famiglia, una buona conoscenza di sé, una migliore formazione alle relazioni interpersonali e una corretta valutazione della realtà: il lavoro non è un fine, ma un mezzo. Dio vuole servirsi dei cristiani nonostante i limiti personali, che dovrebbero essere riconosciuti senza negarli o esagerarli; ciò che si fa per amore di Lui ha sempre ripercussioni positive, anche se queste non si vedono immediatamente.
Bisogna sempre parlare a queste persone con grande delicatezza, senza dimenticare di menzionare le virtù che possiedono, il bene che hanno fatto e potranno continuare a fare: «Abbattimento fisico. – Sei… a pezzi. – Riposa. Sospendi questa attività esterna. – Consulta il medico. Obbedisci e non preoccuparti. Presto tornerai alla tua vita e migliorerai, se sei fedele, i tuoi apostolati»[22].
[20] Ernesto Aviñó Navarro, Obsessive Compulsive Disorder, in La salud mental y sus cuidados, cit., pp. 369-376.
[21] Salvador Cervera Enguix, Trastornos depresivos, in La salud mental y sus cuidados, cit., pp. 333-343.
[22] San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 706; cfr. anche n. 723.