L’ufficio reclami di Dio
Luigi Vassallo
Quando Dio decise di aprire un ufficio reclami, molti commentarono: «Era ora!».
La struttura avrebbe avuto centinaia di sportelli e un sistema automatico di gestione delle code. Fin dall’inizio la politica doveva essere una: rapporto personale. Niente moduli online, niente risponditori automatici. L’utente avrebbe trovato allo sportello un bell’angelo, tutt’orecchi per ascoltare il suo problema e cercare una soluzione.
Le candidature di angeli per il servizio agli sportelli arrivarono numerose. Furono fatte delle selezioni e i prescelti dovettero partecipare a un corso di formazione. «Attenzione personalizzata all’utente, affabilità, concretezza… ma soprattutto: ascolto!», spiegava in tono dinamico e motivante l’istruttore del corso, mentre centinaia di angeli prendevano appunti. Le domande erano tante: «Daremo qualche forma di risarcimento?». «Avremo una pausa tra un utente e l’altro?». «Sono previsti dei buttafuori?».
Il sistema era organizzato con cura. All’ingresso si riceveva un biglietto rosso con un numero e un angelo al microfono avrebbe chiamato gli utenti, assegnandoli di volta in volta a uno sportello. Gli sportelli avevano un design accogliente. Un grande oblò nel vetro per dialogare, una poltrona ergonomica per l’angelo, un distribuitore gratuito di kleenex per eventuali lacrime. Ogni sportello era dotato anche di un pulsante rosso, da premere solo nei casi più complessi. Diceva: “per parlare con il Principale”.
Quando il giorno previsto si spalancarono per la prima volta i cancelli, una fiumana di gente riversò sugli sportelli la marea caotica dell’umana insoddisfazione. C’era di tutto. Molti sporgevano un reclamo per il proprio corpo, perché erano troppo bassi, troppo grassi o con le orecchie a sventola. Un uomo di mezz’età protestava con disappunto: «Che capelli mi avete fatto? Mi sono caduti quasi tutti!». Un bambino piangeva perché un calabrone l’aveva punto. Un padre sventolava la lettera di licenziamento, un altro l’estratto conto della banca. Una ragazzina tendeva in lacrime l’atto di divorzio dei suoi genitori.
L’angelo dello sportello 393 il pulsante rosso non l’aveva ancora utilizzato. In quei primi giorni di lavoro le cose non gli erano andate male. La gente andava via dal suo sportello quasi sempre soddisfatta, con una prospettiva nuova sulla propria situazione, una certa motivazione per trasformare i problemi in opportunità e il ricordo di un affettuoso sguardo angelico.
Gli ultimi casi di quel pomeriggio li aveva risolti con facilità: soprattutto la giovane moglie che aveva bruciato l’arrosto e l’adolescente escluso dalla squadra di basket. Poi aveva visto arrivare allo sportello una signora di mezz’età dall’aria decisa e aveva capito subito che sarebbe stato un osso duro.
La signora si chiamava Ada e si trattava di suo marito. Lo chiamava «il mio Osvaldo», snocciolando una dietro l’altra le cause di insoddisfazione di trentacinque anni di matrimonio. «Trentacinque!», ripeteva continuamente, come per sincerarsi che l’angelo avesse capito bene il numero. Aveva dei fogli di appunti dai quali leggeva uno per uno gli episodi sui quali intendeva sporgere reclamo: erano centinaia. L’angelo aveva dato una sbirciata ai fogli, capendo che ci sarebbero volute ore. Il problema di Osvaldo era la sua indifferenza, il suo caratteraccio, la sua testardaggine nel rispondere sempre allo stesso modo ai tentativi di dialogo: «Monosillabi, mi capisce? Solo monosillabi, quando una vorrebbe un po’ di attenzione e magari collaborazione». E continuavano gli episodi, minuziosamente descritti, che rivelavano come Osvaldo fosse troppo lento quando doveva essere rapido e troppo veloce quando avrebbe dovuto fermarsi.
L’angelo aveva provato un paio di volte a inserirsi nel flusso di parole: «Ha provato a considerare i problemi come opportu…». «Trentacinque anni e dico trentacinque!» l’aveva interrotto incurante la signora, «e non creda che abbia finito, eh? Ho appena iniziato». Con un sospiro di rassegnazione l’angelo aveva continuato ad ascoltare, anche se un paio di volte gli era caduto l’occhio sul pulsante rosso.
Quando la misura fu colma, decise di tentare un bluff. Mise l’espressione più seria che gli riusciva e azzardò: «Vuole attivare il protocollo di sostituzione del marito?». La signora Ada si irrigidì e rimase per un istante in silenzio. Per un attimo l’angelo temette di averla combinata grossa. Il protocollo naturalmente non esisteva e questa sua uscita gli sarebbe potuta costare molto cara. La signora lo guardava ancora immobile, ma l’angelo capì che dentro stava succedendo qualcosa, finché lei sbatté violentemente il pugno sul bancone e gridò: «Non voglio che sostituiate il mio Osvaldo! Voglio parlare col Principale!».
Per un momento si fece silenzio in tutto l’ufficio. Gli utenti agli altri sportelli si erano voltati tutti verso la signora. Ma l’angelo tirò un sospiro di sollievo e tendendo la mano verso il pulsante rosso disse con un sorriso: «Arrivederci…».
Tutto avvenne in meno di un secondo. Sotto i piedi della signora Ada si aprì improvvisamente una botola che la risucchiò. I fogli della signora volarono qua e là. Il pavimento si richiuse e una voce chiamò il numero successivo allo sportello 393.
La signora Ada stava precipitando nell’oscurità di un qualche misterioso canale e non riusciva a fare altro che emettere uno strillo acutissimo. Poi in fondo al tunnel intravide una luce calda che si avvicinava. In men che non si dica atterrò… su una balla di fieno.
Il suo arrivo fu salutato immediatamente da alcuni versi: un bue muggì, un asino ragliò, una pecora belò e la signora Ada si rese conto di essere in una grotta piena di gente. Si guardava in giro perplessa, finché prese coscienza del luogo in cui si trovava. L’atmosfera era calma e tutti erano assiepati attorno a una mangiatoia dalla quale veniva una grande luce.
Ada sgomitò un po’ per riuscire a vedere meglio: Accanto alla mangiatoia c’erano il padre e la madre del bambino. Era piccolo e bellissimo. Sebbene fosse appena nato, sembrava che ridesse. Ada ebbe l’impressione che ridesse di lei e si sentì improvvisamente piena di pace. Poi alzò lo sguardo e vide una persona che la lasciò a bocca aperta.
«Osvaldo! – gridò – tu qui?». Osvaldo aveva lo stesso sguardo sorpreso. Ciascuno vide nella mano dell’altro il biglietto rosso con il numero. «Dunque tu…?» mormorò lui dopo un istante. Ada annuì: «E anche tu… ?». Anche Osvaldo annuì.
Marito e moglie si guardarono negli occhi. Ad entrambi quel momento sembrò simile alla prima volta che si erano incontrati. Non sapevano se mettersi a ridere o a piangere quella notte, davanti allo sportello numero 1 dell’ufficio reclami di Dio.