Accompagnamento spirituale dei malati

Riflessioni sull’accompagnamento spirituale nella malattia. Nei momenti di sofferenza, la vicinanza e la comprensione di altre persone diventa più necessaria: i familiari, i colleghi di lavoro, gli amici, il personale sanitario, il sacerdote e chi accompagna spiritualmente hanno un ruolo fondamentale.

A volte, la malattia stessa rende difficili le relazioni interpersonali. Una migliore comprensione della malattia della persona, insieme alla grazia di Dio, renderà possibile un accompagnamento più stretto ed efficace.

Prestare aiuto spirituale a chi soffre

1. Il cristiano e la malattia

2. La malattia fisica

3. La malattia mentale

4. Idoneità e salute

Conclusione

1. Il cristiano e la malattia

La malattia porta il malato a porsi molte domande. Le più immediate e comuni sono: Perché io? Perché adesso?. È facile, di conseguenza, interrogarsi sul significato profondo di essa. Il primo obiettivo della direzione spirituale di un malato sarà quindi quello di aiutarlo a scoprire il senso della sua malattia. Non è qualcosa che si può imporre dall’esterno; il paziente deve cercarlo e farlo proprio, secondo un itinerario molto personale.

Per il cristiano la sofferenza ha un senso, anche se non è pienamente comprensibile. Il punto di partenza è la passione e la morte del Signore, il quale con il suo dolore ha assunto ciò che è nostro e lo ha riempito di luce. La radice è nella Croce, «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1, 23), e nella certezza che il dolore ci rende co-redentori e reca beneficio a tutta la Chiesa, come afferma San Paolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

La malattia è permessa da Dio come conseguenza della debolezza contratta dalla natura umana dopo il peccato. Certamente, quindi, non è un bene in sé, per cui quando può essere evitata, la si evita. Tante volte, tuttavia, non c’è la possibilità di evitare le malattie. È il momento di dire sì alla Volontà di Dio, di crescere nell’amore, di maturare umanamente e spiritualmente: il dolore rimarrà un mistero, ma un mistero aperto che mette davanti ai nostri occhi il limite e la finitezza dell’esistenza terrena e apre la porta alla vita futura, la Vita eterna.

La vita e sofferenza di Giobbe

La vita di Giobbe, benedetta da Dio con abbondanza di beni e di figli e improvvisamente privata di tutto questo, è un paradigma di accettazione del dolore. Gli amici che gli si avvicinano per confortarlo tentano di convincerlo che tutti i suoi mali sono il frutto delle sue colpe passate (cfr. Gb 4,8-10). Giobbe, tuttavia, è consapevole della sua innocenza. Dal primo momento ha mantenuto la fede e ha detto: «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21). Nella dura prova, resistendo alla propria moglie che lo incita a rinunciare a Dio, egli rimane fedele (cfr. Gb, 2, 10).

La risposta del Creatore, che interviene alla fine del libro, è un invito alla pazienza. Fa sapere a Giobbe che non può capire tutte le ragioni e, di fronte alla sua umiltà, gli restituisce i suoi beni moltiplicati (cfr. Gb, 38-42). Giovanni Paolo II, con abbondanti riferimenti a questo testo dell’Antico Testamento, riassume l’argomento con le seguenti parole: «Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. È soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione»[1].

Piangere, commuoversi di fronte al dolore o la morte di una persona cara, è così umano che Gesù stesso ha voluto lasciarci la sua esperienza (cfr Gv 11,33-39). Nell’accompagnamento spirituale di chi soffre, un atteggiamento fondamentale è la compassione e l’empatia: farsi carico di ciò che gli succede e, per questo, ascoltarlo. Un gesto può essere più benefico di centinaia di parole.

Si tratta di aiutare i malati a guardare a Dio e agli altri: questo è il modo per scoprire il senso della sofferenza. Giungerà ad essere compreso solo un dolore che abbia ragione di essere come sacrificio, come dono, come prova o «pietra di paragone dell’Amore»[2]; questo lo trasformerà in un bene – in un certo senso – per chi soffre e per gli altri.

San Josemaría ebbe a dire: «Questa è stata la grande rivoluzione cristiana: trasformare il dolore in una sofferenza feconda; fare, di un male, un bene. Abbiamo spogliato il diavolo di quest’arma…; e, con essa, conquistiamo l’eternità»[3].

Definizione di salute

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come «uno stato di perfetto benessere fisico, psichico e sociale». Considera le tre dimensioni in stretta relazione. Ogni crepa o fessura in una di queste dimensioni ha ripercussioni sulle altre. L’alterazione organica può essere causa di disturbi psichici; il disturbo psichico può determinare un’alterazione organica; le difficoltà spirituali, anche se non sono menzionate dalla OMS, possono causare alterazioni psichiche e fisiche. È sempre la persona intera che soffre.

La convinzione dell’unità dell’essere umano, con il primato della dimensione spirituale, ci porta a comprendere che ogni malato è unico e a trattarlo di conseguenza. Il malato non sarà mai “un problema”, ma una persona irripetibile che ha un problema. In questo senso vanno letti i suggerimenti di queste righe, che si riferiscono principalmente alla cura spirituale dei malati. Alcuni di questi consigli potranno essere utili ai membri della famiglia, che condividono il dolore di una persona cara e possono provare in sé stanchezza e dolore.

Distingueremo la malattia fisica da quella psichica, anche se ci sono molte interrelazioni e complementarietà tra quanto spiegato in una sezione e l’altra. Ci occuperemo di chi cerca il significato del proprio dolore e con chi condividerlo. Questo è un compito fondamentale della direzione spirituale. La malattia ricorda a tutti gli esseri umani che siamo di passaggio; e ai cristiani che siamo in cammino verso il Cielo, che «è da compiangere l’infelicità di questa vita e da desiderare la felicità dell’altra»[4].

Gli aspetti psicologici e la sfera spirituale

Ci soffermeremo maggiormente sugli aspetti psichici, sia a causa del loro intimo rapporto con la sfera spirituale[5], sia perché nelle malattie fisiche – soprattutto nelle malattie croniche – di solito è presente anche una sintomatologia psichica che, per il modo in cui si verifica, può essere sconcertante per il paziente e per chi lo conosce. Le descrizioni e i suggerimenti serviranno a comprendere meglio i malati, a valutare la possibilità che ci sia un problema di salute e a guidarli correttamente.

La direzione spirituale non ha come scopo né come oggetto la salute, ma contribuisce al benessere della persona. Le risorse spirituali impediscono la comparsa di alterazioni e promuovono la buona salute. Il cristiano sa che la salute non è il valore principale, ma si prende cura di essa per poter servire meglio e più a lungo Dio e gli altri. Il medico, il direttore spirituale e tutti coloro che sono in qualche modo vicini al malato devono lavorare insieme per il suo bene, evitando dare dei consigli fra loro contraddittori.

L’obiettivo di queste righe è quello di proporre alcuni strumenti di base e le conoscenze utili alla direzione spirituale. Per questo motivo, le spiegazioni scientifiche sono di carattere generale e ausiliario, e non vengono illustrate in modo esauriente né le patologie né le forme di terapia, che variano a seconda delle diverse correnti mediche o psicologiche e delle circostanze di ogni paziente.

Le parole con cui Benedetto XVI riassume le capacità conferite da Gesù ai dodici apostoli di «guarire ogni sorta di malattie e d’infermità» (Mt 10,1) sono utili a chiunque debba relazionarsi con le persone che soffrono: «Chi vuole veramente guarire l’uomo, deve vederlo nella sua interezza e deve sapere che la sua definitiva guarigione può essere solo l’amore di Dio»[6].

2. La malattia fisica e l’accompagnamento spirituale

Nella malattia fisica, il processo anomalo ha come causa iniziale o provoca un difetto negli organi o in una funzione fisiologica: alcuni esempi sono il diabete, un cancro, la meningite.

I malati richiedono un’attenzione particolare. È necessario trattarli con il massimo affetto possibile, sapendo che, a volte, lo stesso disturbo può generare suscettibilità ai consigli o ai suggerimenti.

Questa è l’esperienza dei maestri della spiritualità: «Quando siamo ammalati, rischiamo di diventare noiosi: “Non mi trattano bene, nessuno si preoccupa di me, non mi curano come merito, nessuno mi capisce…”. Il diavolo, che è sempre in agguato, si afferra a qualunque appiglio; e, nella malattia, la sua tattica consiste nel fomentare una specie di psicosi capace di allontanare da Dio, di amareggiare l’ambiente, o di distruggere il tesoro di meriti che, per il bene di tutte le anime, si ottiene quando si sopporta con ottimismo soprannaturale – quando lo si ama! – il dolore»[7].

La prima cosa da fare, logicamente, è fornire loro l’accesso alle cure mediche di cui hanno bisogno, al fine di rimuovere o ridurre il più possibile il loro disagio.

La vita di pietà deve essere adattata alle circostanze di ciascuno di essi, considerando, ad esempio, se il malato deve restare a letto, se può uscire di casa, ecc. È conveniente facilitare la ricezione dei sacramenti quando l’interessato lo desidera, in particolare della confessione e della comunione, e, in alcuni casi più gravi, l’unzione dei malati e il viatico.

Anche nelle malattie organiche possono insorgere sentimenti di colpa, molto frequenti, come vedremo, nelle malattie psichiche. L’accompagnatore spirituale deve cercare di incanalare tali sentimenti, favorendo la pace e la gioia che provengono dal sapere di essere figli di Dio.

Il senso di colpa nei malati

In alcuni casi il senso di colpa può essere immaginario; in altri è reale. Quest’ultimo è il caso delle malattie contratte in seguito a una condotta moralmente sbagliata: alcune infezioni nei tossicodipendenti, L’AIDS per promiscuità sessuale, gli incidenti gravi occorsi sotto l’effetto dell’alcol, ecc. In questi casi, pur senza negare una responsabilità del malato nel suo male, è necessario aiutarlo a recuperare – se l’avesse persa – la grazia e l’amore di Dio.

Accettare il dolore come espiazione e penitenza, unirsi alla Passione redentrice di Gesù Cristo senza cessare di chiedere il ripristino della salute può dare a queste persone una grande serenità. Il Signore, che senza dubbio può guarirli fisicamente, ha più a cuore – se così possiamo dire – la loro conversione e la loro salute spirituale. Con gioia questi malati possono ascoltare le parole del Figlio di Dio fatto uomo: «Ecco che sei guarito; non peccare più» (Gv 5, 14).

Abbiamo raggruppato i casi proposti qui di seguito in quattro gruppi generali. In ognuno di essi ci sono innumerevoli fattori, tra i quali l’età è fondamentale. Un giovane tende a pensare di essere guarito anche di fronte a gravi patologie; un anziano, pur in attesa della guarigione, affronta il suo stato in modo diverso. Il direttore spirituale deve rivolgersi ad ogni persona con un linguaggio adeguato, sempre piena di speranza.

2.1. Malattie acute e incidenti minori

Quando un problema di salute si verifica inaspettatamente, anche se è semplice, altera i piani e le previsioni e può portare a domande come: perché io? e perché ora?, che possono presentarsi con angoscia e violenza. E questo può succedere anche di fronte ad una semplice distorsione alla caviglia o un’influenza, che costringe a restare una settimana a letto: è solo un breve periodo, ma è proprio la settimana in cui si sono previsti tanti eventi (il matrimonio della figlia, un esame, le vacanze…).

Con l’aumentare delle difficoltà o del rischio, forse perché, ad esempio, si deve realizzare un’operazione con anestesia generale per risolvere un’appendicite o ridurre una frattura, la consapevolezza che la vita ha un limite diventa maggiore.

Dal punto di vista spirituale, sono importanti anche questi disturbi imprevisti, che di solito si risolvono in pochi giorni: essi rappresentano un’occasione per manifestare nuovamente l’abbandono nelle mani di Dio e l’accettazione della sua Volontà. Offrire a Dio i cambiamenti dei piani o le contrarietà, accoglierle e viverle bene con gioia significa essere «fedele nel poco» (cfr. Mt 25, 14-28), anche quando si tratta della salute.

2.2 Malattie croniche incurabili

La diagnosi di una malattia cronica, per la quale non è prevista alcuna cura, è motivo di preoccupazione che si accresce in proporzione alla gravità del quadro clinico. L’esistenza non sarà come prima, anche se solo a causa delle modifiche che bisognerà fare nello stile di vita: un piano di esercizi fisici, un’alimentazione particolare, dei farmaci, ecc. Se ci viene diagnosticato il diabete, dovremo seguire la dieta, magari usare l’insulina, fare frequenti test di controllo; in caso di ipertensione, problemi di colesterolo, insufficienza renale o cardiaca, dovremo ridurre il sale o i grassi, ecc.

Comprendere bene i disturbi evita paure ingiustificate e facilita l’attuazione delle misure preventive e curative. A queste persone si deve sempre trasmettere ottimismo e aiutarle a vedere quanto succede come un segno dell’amore di Dio. Possono offrire a Dio, cercando di non stancarsi di farlo, i fastidi, le analisi…, e anche la paura o lo smarrimento di fronte ad una prognosi non del tutto chiara.Ci sono spesso periodi di scompenso della malattia, in cui la virtù della pazienza è più necessaria. Quando il tempo passa e alcune funzioni organiche peggiorano o le solite cure diventano pesanti, è il momento della perseveranza, di aggrapparsi con più forza alla gioia della croce. Si può ricordare ai malati, in quei momenti, che il loro modo di affrontare la malattia è un’opportunità per dare l’esempio agli altri e soprattutto per unirsi alla Passione di Cristo.

Le attività quotidiane del malato

Le attività di ogni giorno – prendere un farmaco, misurare il glucosio nel sangue, ecc. – possono diventare come un richiamo per elevare il cuore al cielo in una piccola e veloce preghiera, in un atto di abbandono, di riparazione, di petizione per la Chiesa, per il Papa, per tutte le anime. I malati, specialmente quelli con malattie croniche, hanno nelle loro mani un grande tesoro di preghiera e santificazione, che possono distribuire generosamente.

Quando i malati giungono allo stadio in cui svolgono pochissime attività esterne o il deterioramento riduce la loro autonomia, possono provare sensazioni di inutilità, di essere un peso, di dare fastidio. Per affrontare queste idee, offrendo le cure di cui hanno bisogno, possiamo ricordare loro che essi farebbero lo stesso per coloro ai quali vogliono bene.

È anche utile che vedano come adesso essi stesi rappresentano un’opportunità di crescita per quanti si prendono cura di loro e che, seguendo il Signore nella loro sofferenza, hanno un’efficacia ancora maggiore di quella che avevano quando erano in piena facoltà. Allo stesso tempo, è necessario saper riconoscere i primi segni di sintomi depressivi o di ansia, che richiedono cure specifiche, che saranno discusse nella sezione terza.

È bene aiutare i malati a valorizzare molto la Santa Messa e cercare – se possibile parlando con i loro parenti – di rendere loro facile il prendervi parte. Non pochi anziani e malati cronici soffrono perché non possono partecipare al Santo Sacrificio. Logicamente, bisogna rassicurarli quando non possono partecipare alla Messa domenicale. In questi casi, si può consigliare di seguire la Messa in televisione, se sono in grado di farlo. Bisogna anche incoraggiarli a lasciarsi curare con umiltà, ricordando loro che questo è un modo privilegiato per unirsi al Signore.

2.3 Accompagnamento spirituale dei malati con incapacità e demenza

All’interno delle malattie croniche, un gruppo speciale è costituito da quelle in cui la disabilità diventa molto grande a causa di un’alterazione delle facoltà fisiche o cognitive. Molte persone, di tutte le età, sono costrette a vivere per anni dipendendo da altri per prendere cibo, per l’igiene, per la mobilitazione e così via. Esempi frequenti sono alcuni casi – non tutti, poiché la prognosi e il decorso clinico è variabile – di malattie neurologiche come la sclerosi multipla e simili alterazioni. Come sempre, ogni paziente sarà diverso e dovrebbe essere incoraggiato con affetto, a seconda delle circostanze.
È comprensibile che questi pazienti abbiano momenti di maggiore scoraggiamento e che trovino difficile dare un senso a ciò che accade loro. Un caso estremo è quello di chi subisce un incidente e passa da una vita attiva alla quasi totale paralisi da un giorno all’altro. Molto utile per assistere spiritualmente a qualcuno in queste circostanze è rendersi conto in profondità di quello che provano, e per farlo la cosa migliore è ascoltarli.

Il valore della testimonianza

Ha un grande valore la testimonianza in prima persona del sacerdote spagnolo Luis de Moya, che racconta come affronta da anni una tetraplegia – totale paralisi sensoriale e motoria degli arti – sopravvenuta in seguito ad un incidente stradale. Egli conferma che per una persona in questa situazione «la cosa più dolorosa è sentirsi poco utile o non amata»[8].Ci sono anche una serie di malattie che si manifestano con un progressivo deterioramento cognitivo e intellettuale che impedisce lo sviluppo delle normali attività. Si chiamano demenze e colpiscono fino al 15% delle persone sopra i 65 anni e il 40% di quelle sopra gli 80[9].

Si manifestano con uno dei seguenti sintomi: alterazione della memoria, impoverimento del linguaggio, difficoltà a nominare oggetti o ricordare parole (agnosia o afasia), mancanza di attenzione e concentrazione, disorientamento nel tempo e nello spazio, agitazione, perdita di giudizio. Inizialmente le difficoltà vengono notate solo dai parenti, i quali osservano in chi ne è colpito una perdita di memoria a breve termine o che dimenticano molte questioni, che il loro carattere, il tono dell’umore o del comportamento cambiano e perdono gli interessi che avevano prima.

La demenza più comune

La demenza più comune è la malattia di Alzheimer, causata da fenomeni degenerativi che colpiscono i neuroni. Da sola è causa del 50-60% di tutte le demenze. La sopravvivenza, dal momento della diagnosi, è molto variabile, con una media di 7 anni. La seconda demenza più importante per frequenza è quella secondaria ai fattori vascolari (infarti multipli nel cervello). La sofferenza soggettiva dei pazienti è maggiore nelle fasi iniziali, specialmente dopo la diagnosi.

Più tardi, invece, il dolore aumenta nei parenti, perché molte volte si verificano cambiamenti sconcertanti nel modo di agire e di reagire dei propri cari malati, i quali si sentono perseguitati e manifestano altre idee deliranti o sintomi psichici. L’aiuto spirituale ad un malato affetto da demenza dipenderà dallo stato in cui si trova. Soprattutto all’inizio, sarà importante trasmettere la speranza, incoraggiare l’abbandono e pensare al bene spirituale che la malattia significa per loro e per quanti li assistono.

Da un punto di vista medico, ci sono consigli ed esercizi preziosi che in alcuni casi possono rallentare il declino cognitivo. Alla fine, se i pazienti perdono completamente l’uso della ragione, sarà necessario fare affidamento su qualche facoltà che abbiano ancora. Serve ricordare loro le pratiche di pietà con cui erano familiari quando erano bambini. Anche nelle fasi avanzate, possono avere dei periodi di maggiore lucidità.

Si può pregare con loro, anche se sembra che non capiscano[10]. È sempre importante trattarli con delicatezza e con manifestazioni di affetto, anche perché la capacità di percepire queste attenzioni, di sentire ed esprimere emozioni, si mantengano più a lungo e più intensamente[11].

Un altro disturbo cronico e progressivo è il morbo di Parkinson. È una sindrome o insieme di sintomi e segni, fra cui spiccano il tremore a riposo, la rigidità, la lentezza motoria e l’instabilità posturale. Si tratta di un disturbo che colpisce gli adulti di mezza età e gli anziani. Il 30% dei pazienti riferisce sintomi prima dei 50 anni. Tra il 20 e il 60% dei pazienti sviluppa una demenza nelle fasi successive.

In diversi casi, anche all’insorgenza dei sintomi, compare una depressione, che è importante riconoscere per poterla affrontare adeguatamente. Anche se attualmente non esiste una cura per il morbo di Parkinson, i progressi medici nella sua gestione sono notevoli, e continuano ad essere sperimentate nuove forme di terapia. Come in altre situazioni, è utile che i membri della famiglia conoscano alcuni dettagli della malattia, in modo da poter meglio comprendere e aiutare il paziente.

La vecchiaia non è una malattia

Infine, vale la pena di commentare gli stati di debolezza degli anziani, tenendo presente che l’età non è di per sé la causa di questa situazione. La debolezza dell’anziano può essere considerata una sindrome, caratterizzata da ridotta forza fisica e attività generale, maggiore affaticamento, camminata lenta e instabile, paura e rischio di cadute, mancanza di appetito, perdita di peso, a cui possono essere aggiunte perdite cognitive e depressione.

Una valutazione medica e geriatrica è appropriata per cercare le cause. Se non si trova nulla di specifico, si possono applicare diverse misure che contribuiscono a migliorare il quadro: piano di esercizi settimanali per migliorare la resistenza, equilibrio e flessibilità (salire e scendere le scale, camminare, esercizi aerobici, ecc.), supporto nutrizionale con vitamine (soprattutto vitamina D) e assunzione di calcio con latticini senza grassi, oltre ad una dieta ricca di frutta e verdura[12].

Un’attenta e amorevole cura della dimensione fisica e psicologica di questi pazienti promuoverà anche la salute spirituale. Un consiglio più specifico in questa dimensione è che rinnovino il loro amore per Dio e il loro impegno a far avvicinare a Lui gli altri attraverso l’apostolato, l’amicizia e l’esempio di una buona vita cristiana.

È sorprendente quanti anziani sembrano recuperare le forze di fronte ai nuovi scenari di apostolato e di servizio[13], e forse in questo modo migliorano o rallentano il loro deterioramento fisico o mentale. Ci sono altri aspetti che dovrebbero essere presi in considerazione nelle persone affette da queste malattie croniche o con un deterioramento significativo dovuto all’età, che non è possibile affrontare qui[14].

Chi si prende cura dei malati con importanti limitazioni o demenze deve essere molto sostenuto, perché è un lavoro faticoso ed estenuante, anche se fatto con affetto e visione soprannaturale. Non è raro che in essi compaiano segni di insonnia, ansia, ecc. Se sono membri della famiglia, può essere consigliato loro di alternarsi o di assumere, se è possibile un servizio a domicilio o personale infermieristico. Esistono oggi, in molti paesi, dei centri specializzati che prestano un aiuto importante ai malati cronici e agli anziani che richiedono maggiore attenzione.

La decisione di far entrare un famigliare in uno di questi centri – solo di giorno o in modo permanente – può essere difficile, e a volte viene chiesto consiglio al direttore spirituale. Ci sono istituzioni molto appropriate, con personale specializzato, che possono collaborare umanamente e spiritualmente nella cura dei malati, stabilendo delle routine quotidiane, con più attenzione al cibo, all’igiene, ai farmaci e ai numerosi dettagli della vita, attenzioni tutte che riescono anche a ridurre o ritardare il deterioramento.

2.4. La malattia grave e l’approssimarsi della morte

Quando la diagnosi comporta un rischio vitale, le domande sul significato della vita e della morte sono cruciali. Per un cristiano, la morte è un cambio di casa, la porta che ci conduce al Cielo. Gli argomenti che si esprimono nell’accompagnamento spirituale devono essere ancora più intrisi di speranza.

È opportuno che i malati conoscano per tempo la gravità del male di cui soffrono, in modo da potersi preparare al meglio e ricevere gli ultimi sacramenti in piena coscienza; di solito, però, non è necessario che conoscano i dettagli della prognosi con troppo anticipo. Sono la famiglia o i medici – con il parere dei parenti – che devono esporre la situazione al paziente, con delicatezza ma senza eufemismi che la rendano incomprensibile. È anche logico lasciare aperta la possibilità di una guarigione, che Dio può volere, e che lo stesso paziente continui a pregare per essa: anche questo esercizio della fede ha un valore.

Per molte persone sarà il momento di mettere in ordine la propria vita. Vorranno dire addio ad amici e conoscenti, risolvere le questioni in sospeso o riconciliarsi con qualcuno, pensare, se fosse il caso, a coloro che dipendono da loro e a come lasciare loro un futuro più stabile, sistemare le questioni di eredità, e così via. Ma, soprattutto, vorranno prepararsi al meglio per l’incontro definitivo con Dio.

È necessario, in questi casi, facilitare la serenità nella vita spirituale. Allo stesso tempo, li aiuterà continuare ad esercitare il più a lungo possibile i loro compiti e le loro occupazioni. Un figlio di Dio che confida nella vita eterna è lieto di potersi donare fino alla fine, anche se non vedrà i suoi progetti ultimati e non potrà godere in questa terra dei frutti di queste ultime imprese: li vedrà in ogni caso, da un luogo migliore e per sempre[15].

Le malattie terminali

Le cosiddette malattie terminali sono la fase finale di numerose malattie croniche, in cui l’aspettativa di vita è inferiore a un mese. Dal punto di vista medico, questa diagnosi viene fatta di fronte ad una malattia in progressiva evoluzione, in cui le cure convenzionali sono state esaurite e i farmaci sono inefficaci; vi è un’insufficienza irreparabile di uno o più organi, o complicazioni irreversibili, come il fallimento di uno o più sistemi[16].

L’accompagnatore spirituale può trovarsi di fronte a dilemmi posti dal malato stesso o più comunemente dai suoi parenti: quali mezzi per preservare la vita sono ordinari o straordinari? È lecito sedare la persona nelle ultime fasi o usare qualche farmaco che può abbreviare la sua vita? Quando accettare di donare qualche tessuto organico? Il direttore spirituale dovrebbe acquisire le conoscenze necessarie per rispondere con le indicazioni del magistero della Chiesa, chiedendo magari anche dei consigli agli esperti, senza precipitarsi in risposte che potrebbero essere poco ponderate[17].

Un compito fondamentale di chi si prende cura di queste persone è quello di alleviare il dolore e altre sensazioni di disagio (come la difficoltà estrema per respirare, la nausea e altri problemi digestivi), che è spesso medicalmente possibile, e accompagnarli per ridurre l’ansia o sentimenti di impotenza. Queste cure mediche, chiamate cure palliative, richiedono personale specializzato e per questo motivo è più frequente – e talvolta conveniente – che questi pazienti possano passare le ultime ore della vita in ospedale.

Ci sono, tuttavia, istituzioni che offrono cure palliative a domicilio, che sono molto efficaci. Che una persona negli ultimi istanti possa essere a casa sua – se ha l’adeguato supporto medico -, presenta indubbiamente dei vantaggi. In ogni caso, ovunque si trovi, sarà necessario offrire un ambiente tranquillo e intimo in cui poter ricevere i sacramenti e meditare con pace sull’amore di Dio che la attende, in compagnia dei suoi cari: «Aiutare una persona a morire significa aiutarla a vivere intensamente l’esperienza ultima della sua vita»[18]. Risulta naturale, se è stato fatto fino ad allora, continuare a pregare in famiglia per facilitare la vita di pietà di chi finisce una tappa ma sta per iniziare una nuova avventura, sta per cambiare casa[19].

3. Accompagnamento spirituale nelle malattie mentali

La malattia psichica si manifesta soprattutto nell’azione e nelle funzioni più strettamente legate alla sfera psicospirituale, quali sentimenti, pensieri, atteggiamenti e comportamenti. I fattori causali sono molteplici: biologici, ambientali, sociali, sociali, psicologici, ecc.

Come detto, esiste una stretta relazione tra le dimensioni fisica, psichica e spirituale. In alcune alterazioni fisiche, i fattori psichici contribuiscono direttamente o indirettamente. L’asma, alcune malattie della pelle, le ulcere gastriche e persino le infezioni sono favorite dallo stress psicologico. I sintomi psicologici, a loro volta, possono derivare da una lesione al sistema nervoso o al sistema endocrino, o ancora da una reazione a un disturbo fisico.

D’altra parte, ci sono malattie psichiche, come alcune forme di depressione, che non si manifestano chiaramente, ma sono mascherate da sintomi fisici: dolore, alterazioni intestinali, ecc. che possono essere il riflesso di un quadro depressivo.

Distinguere tra fisico e psichico non è sempre facile. Quando un medico suggerisce come possibilità che un sintomo abbia una causa psichica, non è raro per lui sentirsi dire dalla persona: “Dottore, io non sono pazzoQuesta difficoltà fa sì che alcuni medici evitino di insistere o approfondire la questione e prescrivano semplicemente un farmaco, che probabilmente non sarà molto efficace.

Non è neppure facile determinare se un problema di umore, ad esempio, ha radici ascetiche o spirituali. Se il direttore spirituale percepisce una possibile carenza psichica, dovrebbe dirlo all’interessato con delicatezza e prudenza, senza permettere che il problema continui a tempo indeterminato. Se è necessario andare da uno psichiatra, è importante che la persona scelga un buon professionista, che operi secondo criteri corretti e che sia il più possibile cristiano.

Esiste un’ampia classificazione delle malattie psichiatriche, ma non ci sono test di laboratorio o segni fisici evidenti per nessuna di esse. La diagnosi viene raggiunta seguendo le descrizioni fatte per consenso dei medici. Le classificazioni più comunemente usate sono il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) dell’American Psychiatric Association e la Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ICD-10).

3.1 Distinzione tra psicosi e nevrosi

La distinzione tra psicosi e nevrosi oggi non è in uso. Tuttavia, riconoscere i sintomi psicotici è essenziale, in quanto si verificano nei disturbi più gravi.

Si parla di psicosi quando la capacità di percepire, valutare e interpretare la realtà (frattura o perdita di contatto con la realtà) è seriamente alterata. Queste malattie impediscono un’adeguata valutazione del mondo. Il sintomo psicotico principale è proprio questa deformazione del senso o giudizio sulla realtà, che si manifesta in strani pensieri, affermazioni o comportamenti, evidentemente opposti al giudizio di una persona sana.

Il linguaggio può essere illogico, impoverito o disorganizzato. Gli altri sintomi psicotici sono: il delirio, o convinzioni illogiche, erronee, resistenti alla critica e fortemente radicate; e le allucinazioni, o percezioni irreali (ascoltare delle voci, vedere forme o persone inesistenti, sentire degli odori irreali, ecc.). Di solito i pazienti non riconoscono di essere malati e quindi non riconoscono neanche la necessità di curarsi.

La più evidente caratteristica dell’atteggiamento della persona con questi sintomi è l’incomprensibilità del suo comportamento, che ha qualcosa di assurdo. L’osservatore si scontra con una parete impenetrabile. Ogni tentativo di persuasione è inutile.

Il nome nevrosi era utilizzato per designare i disturbi senza una base organica dimostrabile o manifestazioni psicotiche. Le persone nevrotiche hanno una particolare capacità di auto-osservazione, mantengono il contatto con la realtà e sono più o meno consapevoli della natura patologica dei loro sintomi.

Riescono a svolgere le loro attività in modo accettabile. La nevrosi sarebbe come una reazione anomala – ma generalmente comprensibile – a certe situazioni limite, esterne o interne, che il soggetto soffre; tutti noi possiamo rispondere in modo nevrotico ad un certo tipo di stimolo, forse per la sua intensità o perché dura a lungo. Può acquisire diverse forme patologiche: fobie, ossessioni, insonnia, ecc.

3.2 Schizofrenia, disturbo delirante e breve disturbo psicotico

Esamineremo i disturbi con i sintomi psicotici più rappresentativi. Prima di tutto, la schizofrenia, che non consiste in una scissione della personalità, come a volte si pensa. L’etimologia greca del termine contribuisce alla confusione, perché significa io – o spirito – diviso. In realtà, lo sdoppiamento avviene tra le emozioni e la dimensione cognitiva.

È comune, con una prevalenza dell’1% nella popolazione generale. Si presenta con perdita di contatto con la realtà, allucinazioni – di solito uditive -, delirio e altre anomalie di pensiero, cui si aggiungono alterazione dell’affettività, riduzione della motivazione e dell’impegno nel funzionamento sociale e lavorativo. La causa, come in tutte le psicosi, è organica, anche se il difetto esatto non è noto. Esiste una predisposizione genetica documentata.

Può apparire in forma acuta, in pochi giorni, o lentamente, nel corso degli anni. Di solito si manifesta tra i 18 e i 25 anni e raramente dopo i 40 anni, anche se può presentarsi prima o dopo queste età. I fattori di stress che ne innescano l’insorgenza o la ricorrenza possono essere psichici: la lontananza da casa per qualche motivo, la fine di una relazione affettiva, e soprattutto le situazioni fortemente emotive. Esistono anche fattori chimici: tra gli altri, vi sono sostanze tossiche come la marijuana, la cocaina e gli psicostimolanti.

I farmaci antipsicotici

Con l’assunzione di farmaci chiamati genericamente “antipsicotici”, i sintomi vengono rapidamente eliminati o ridotti. Il 70% dei pazienti schizofrenici riesce a condurre un’esistenza normale sotto molti aspetti. Prima si inizia il trattamento, migliori sono i risultati. I farmaci devono essere assunti regolarmente per tutta la vita, eppure possono esserci dei periodi in cui nonostante ciò i sintomi ricompaiono.

È essenziale convincere la persona della necessità di prendere le medicine. Bisogna aiutarla a capire, con prudenza e senza contraddirla direttamente, che ha un problema di salute e darle fiducia. Attorno a lei si deve creare un clima particolarmente sereno, che le si mostri favorevole e le dia sicurezza.

Quando la malattia si ripresenta, nelle ricadute, i sintomi sono di solito simili all’episodio iniziale. È di grande utilità per la persona imparare a riconoscere i primi avvertimenti: per esempio, qualche difficoltà a dormire o a concentrarsi, preoccupazioni, sensibilità esagerata, mal di testa, non riuscire a pensare in modo chiaro, e così via. I membri della famiglia possono anche notare che il malato è più isolato, più irritabile o ansioso. In questo modo, potrebbe essere possibile recarsi quanto prima dal medico e prevenire le crisi.

Bisogna essere anche consapevoli dei sintomi negativi che possono accompagnare la schizofrenia. Essi consistono in un’affettività – sentimenti, emozioni, passioni e tono dell’umore – poco reattiva o appiattita: questi malati hanno maggiori difficoltà ad esercitare le attività quotidiane e trascurano ciò che si riferisce a se stessi e agli altri, con un disinteresse patologico. Per questo motivo, cadono più spesso nell’alcolismo, nella tossicodipendenza o in idee suicide. Un malato che comincia a sentirsi particolarmente disperato o depresso richiede un’attenzione urgente.

Accompagnamento spirituale nel disturbo delirante

Il disturbo delirante è caratterizzato dalla presenza di una o più convinzioni errate (deliri) che persistono per almeno un mese; di solito è cronico. Le idee che si esprimono nel delirio sono stravaganti, ma includono situazioni plausibili, come sentirsi controllati, essere amati o avvelenati, essere chiamati ad una funzione di particolare importanza nel mondo (essere un messia, un liberatore o rivoluzionario), avere una malattia, e così via. Si verifica nell’adulto di mezza età o più tardi. A differenza della schizofrenia, le funzioni sociali possono essere meno alterate.

Ci sono diversi tipi di disturbi deliranti, precedentemente noti come stati paranoici: megalomania, o convinzione di possedere grandi talenti o di aver fatto una scoperta favolosa; gelosia, ossia convinzione dell’infedeltà del coniuge; persecuzione, cioè persuasione di essere vittima di un complotto; somatico, vale a dire il delirio legato ad una funzione corporea, come la fissazione di avere qualche deformità fisica.

Vale la pena notare che la paranoia, o il pensiero patologico di essere continuamente minacciati, perseguitati o sottovalutati, è un sintomo e non una malattia specifica. Può avere gradi e apparire nel disturbo delirante e nella schizofrenia, oppure essere un tratto molto marcato della personalità.

La paranoia e altri deliri cronici, anche se patologici, passano spesso inosservati. Le persone colpite possono essere intellettualmente brillanti e produttive nel loro lavoro. Sono apparentemente normali in molti campi della loro attività e del loro comportamento. La caratteristica è che presentano idee deliranti con una struttura interna coerente: all’interno della storia che raccontano e che sembra insolita – questo è percepito dai sani – c’è un ordine e una concatenazione tale tra i fatti narrati dal paziente, da conferire ad essa una parvenza di verosimiglianza. In alcuni casi, il delirio è appena percettibile, in quanto i soggetti riescono a sviluppare bene il lavoro intellettuale o manuale, anche se la malattia è evidente a chi ha a che fare con loro da vicino.

Non è opportuno contraddire direttamente il paziente nel suo delirio, perché non accetterà ragioni e contraddirlo potrebbe significare la rottura del dialogo; però non si dovrebbe neppure dirgli che ha ragione. A volte sono i pazienti così coinvolti nella loro fantasia che non possono vivere una vita normale.

È difficile convincerli ad andare dal medico ed è necessario avere pazienza, cercando alcuni punti di contatto: far loro prendere in considerazione delle difficoltà che siano disposti a riconoscere, incoraggiarli ad un controllo della salute generale o cercare un rimedio per una possibile alterazione dei sogni, per l’ansia, l’inquietudine, l’irrequietezza, ecc. Nel disturbo delirante, gli antipsicotici sono meno efficaci che nella schizofrenia; lo scopo della terapia a volte è quello di deviare l’idea illogica in aree di interesse gratificanti e non pericolose.

Nel delirio cronico, l’assistenza spirituale è complessa, soprattutto se il delirio è di tipo religioso, a causa della difficoltà che hanno queste persone nell’accettare le cure.

Accompagnamento spirituale nel disturbo psicotico breve

Il disturbo psicotico breve è caratterizzato da sintomi psicotici che durano almeno un giorno e meno di un mese. In seguito, la persona ritorna al suo livello operativo precedente. Può verificarsi come un episodio isolato o essere il primo segno di una schizofrenia o di un disturbo bipolare. Si osserva anche in alcuni disturbi di personalità. Può essere innescato da un evento stressante, come la perdita di una persona cara o un cambiamento di ambiente.

Questi tre disturbi sono trattati in modo simile. Non è sempre facile stabilire una sola diagnosi, perché, come per molti quadri psichici, si manifestano intrecciati con altri. Se si scoprono sintomi psicotici, è essenziale che la persona faccia riferimento al più presto ad uno psichiatra.

Al paziente e ai suoi parenti si deve cercare di trasmettere molta pace. È utile aiutarli ad avere fiducia nei medici e molte volte bisogna chiarire un argomento centrale: non c’è colpa da parte del soggetto o della famiglia. Queste malattie rappresentano anche un segno, forse più misterioso, dell’amore di Dio. Si deve cercare di rimuovere i pregiudizi che spesso accompagnano le malattie psichiatriche, e anche la paura che sorge di fronte ad una diagnosi associata al concetto peggiorativo di pazzo.

È importante che i parenti e coloro che si relazionano con queste persone, così come il direttore spirituale, imparino a riconoscere e gestire alcuni aspetti della malattia. In questo modo si comprende meglio la loro sofferenza e si aiutano più efficacemente nella cura e nella prevenzione come pure nella loro vita di fede, che è inseparabile dal modo in cui sopportano la loro malattia. Inoltre, si ottiene un rapporto o una coesistenza più amichevole e serena; la comprensione porta a diminuire le paure ingiustificate, le ansie, la fatica, ecc. La vita spirituale dei malati e delle loro famiglie cresce se la malattia viene accettata con una visione soprannaturale, non come punizione divina, ma come occasione per amare di più.

Suggerimenti pratici da dare al malato

In molte malattie con sintomi psicotici, nelle fasi asintomatiche, l’attenzione spirituale sarà come quella prestata a qualsiasi paziente cronico, con i seguenti suggerimenti per crescere nella visione soprannaturale: accettare la patologia e offrirla, lasciarsi aiutare, seguire indicazioni mediche, non abbandonare le pratiche di pietà.

Ecco alcuni pensieri tratti dalla lettera di un buon cristiano affetto da schizofrenia: «La vita è stata ed è così dura, ma ho sempre fiducia nel Signore che mi aiuterà. Ora che sono passati tanti anni, scopro sempre qualcosa di nuovo nel mio rapporto con Dio e con gli altri (…). Quando ne ho bisogno, in mezzo alla sofferenza, trovo una risposta che preferisco tenere per me, e quindi sono felice. Credo in Gesù e ho anche la speranza di guarire».

3.3 Disturbi d’ansia

L’ansia è parte della risposta allo stress o al pericolo. Coinvolge l’organismo con reazioni fisiologiche: tachicardia, sudorazione, aumento della pressione sanguigna e della frequenza respiratoria, ecc. Rappresenta un meccanismo di difesa che anticipa la percezione del rischio e porta a confrontarsi con esso. Per questo motivo, tutti noi ne abbiamo un’esperienza diretta e siamo in grado di comprendere immediatamente la nostra ansia e quella degli altri.

Se non riusciamo a superare una situazione o se lo stato di allarme non corrisponde a qualcosa di reale, la risposta è sproporzionata o ingiustificata. Questo può portare ad una malattia mentale: i cosiddetti disturbi d’ansia, noti in passato come malattie nevrotiche.

Esistono anche numerosi disturbi organici che causano ansia: ipertiroidismo, ipoglicemia, scompensi cardiaci, aritmie, malattie polmonari, intossicazioni, sindromi di astinenza da alcol o droga, effetti avversi dei farmaci, ecc.

Prenderemo in considerazione solo qualche disturbo. Il disturbo ossessivo-compulsivo sarà spiegato più avanti. Inizieremo con gli attacchi di panico, in quanto sono frequenti e molto rappresentativi di ciò che accade nell’ansia estrema. Essi si presentano con un inaspettato e intenso sentimento di paura e angoscia, che non corrisponde ad alcun pericolo reale.

Le manifestazioni somatiche sono spettacolari: palpitazioni, sudorazione, tremore, soffocamento, dolore opprimente al petto che simula un attacco cardiaco, nausea, vertigini, paura di perdere il controllo o impazzire, o morire… L’attacco inizia all’improvviso e raggiunge l’intensità massima in circa 10 minuti. Di solito non dura più di mezz’ora. Causa grandi sofferenze e il logico desiderio di fuggire dai fattori scatenanti.

Le fobie

Nelle fobie, ci sono manifestazioni simili ad attacchi di panico in certe situazioni. Ne esistono molti tipi. La fobia sociale consiste nell’evitare circostanze in cui il soggetto è esposto al giudizio altrui: c’è una paura irrazionale di essere ridicoli o di agire in modo inappropriato. L’agorafobia è la paura dei luoghi aperti: si ha paura che possa accadere qualcosa di brutto e non si riesca a fuggire in un rifugio sicuro o a trovare aiuto; può verificarsi in eventi di massa, mentre ci si trova su di un mezzo di trasporto, ecc. Le fobie specifiche sono molto varie: di animali, di luoghi chiusi, del sangue, ecc.

I disturbi post-traumatici da stress sono la conseguenza di un evento straordinariamente stressante: un incidente, una guerra, un terremoto, ecc. Oltre all’ansia, ci sono di solito alterazioni dello stato di coscienza e della memoria.

Il disturbo d’ansia generalizzata inizia di solito nel terzo decennio della vita e può essere complicato da sintomi depressivi. L’ansia e un’eccessiva preoccupazione sono presenti quasi tutto il giorno, in molte circostanze, per almeno sei mesi. Si differenzia da un nervosismo per così dire normale, perché la persona non è in grado di controllare il sintomo il che provoca continue tensioni, irritabilità, stanchezza, difficoltà di concentrazione e di memoria, problemi di sonno, e così via.

Contromisure per affrontare l’ansia

Quando si sperimenta personalmente l’ansia – nervosismo – o la si vede in altri, la prima cosa da fare è cercare di identificarne il motivo. Se questo non viene trovato, il problema è sicuramente più legato ad una mancanza di salute mentale. Esiste una serie di semplici contromisure, utili come prima scelta:

  •  Sostegno fisiologico: cura del sonno; sport regolare, preferibilmente con altri; camminare 30-40 minuti al giorno; esercizi di rilassamento, come la respirazione diaframmatica.
  •  Ridurre l’uso di alcool, caffeina e stimolanti; il tabacco è usato da persone ansiose, ma ha numerosi effetti dannosi sull’equilibrio psicofisico.
  •  Se l’ansia non si riduce e/o la vita normale diventa difficile, è consigliabile consultare un medico. L’uso di ansiolitici per alcuni giorni o settimane può essere sufficiente.

I disturbi d’ansia sono vere e proprie malattie e, grazie a Dio, molti di essi possono essere guariti. Non sono un segno di debolezza o il frutto di difetti personali. La diagnosi precoce e la terapia sono importanti per ottenere buoni risultati.

Oltre agli ansiolitici, sono utili anche alcuni antidepressivi. La psicoterapia ha un ruolo egualmente positivo: si esplorano i possibili conflitti nascosti che condizionano la paura patologica, cercando modi per contrastarla, e si modificano gli stili di gestione delle difficolta, cercando di identificare i meccanismi più sani che generano meno angoscia.

Di solito si indicano esercizi di difficoltà progressiva per affrontare a poco a poco l’angoscia che alcuni stimoli o luoghi provocano, come salire ogni tanto sull’autobus, uscire per un breve periodo da casa, ecc. L’idea è controllare l’ansia con piccoli passi avanti, finalizzati al superamento di situazioni di stress.

È utile all’accompagnatore spirituale sapere che un paziente con disturbi d’ansia mette duramente alla prova le relazioni familiari a causa del suo comportamento, che può apparire incomprensibile e alterare i piani altrui, o a causa delle sue reazioni che trasmettono una mancanza di pace.

Si deve sempre cercare di essere comprensivi e pazienti. Più che in altre sofferenze, è necessario rimanere calmi, parlare con serenità, senza discutere di paure illogiche: suggerire di riporre la loro fiducia in Dio, che è Padre e provvede a tutto per il bene di coloro che lo amano. Sarà bene aiutarli a meditare su cosa sia riposare nel Signore, che è la principale fonte di serenità e pace.

3.4 Ossessione e compulsione

L’ossessione e la compulsione si verificano in un’ampia varietà di malattie. Il disturbo ossessivo-compulsivo può essere legato ai disturbi d’ansia o ad una personalità patologica. C’è anche una tendenza all’ossessione, che non giunge ad essere una malattia ma rimane come un tratto o caratteristica della personalità. Spiegheremo ora il più classico dei disturbi: il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD)[20]. Colpisce circa lo 0,5% della popolazione generale.

L’ossessione, dal latino obsessio (assedio), consiste nell’avere delle idee, pensieri, impulsi o immagini che non possono essere rimossi dalla mente. Questi entrano nella mente in modo arrogante e si percepiscono come qualcosa di irrazionale, incontrollabile, assurdo e angosciante. Non sono un semplice pensiero indesiderato che finisce per scomparire e che, come molti hanno sperimentato, è frequente in stati di tensione, ansia, mancanza di sonno o stanchezza, che favoriscono il rimuginare le idee. A volte, se si tenta di eliminare un pensiero involontario in modo troppo forte e diretto, l’ansia può aumentare e può risultare più difficile toglierlo dalla mente.

Il termine compulsione, d’altra parte, indica il comportamento impetuoso che accompagna l’ossessione. La compulsione si innesca come mezzo per ridurre l’ansia generata dal fenomeno ossessivo. È un impulso irresistibile ad agire in un certo modo, per verificare che ciò che è stato pensato non sia vero o per evitare un presunto pericolo. L’esempio più tipico è quello di lavarsi continuamente le mani quando si è ossessionati da una possibile contaminazione. Gli atti riducono solo momentaneamente l’angoscia, a differenza di quanto accade quando un normale desiderio viene soddisfatto.

Disturbo ossessivo-compulsivo

Nell’OCD la persona sperimenta ossessioni involontarie e assurde, che non possono essere messe da parte e gli causano un onere tale che non è in grado di svolgere le sue normali attività. I temi più comuni sono la paura di essere contaminati da germi, i dubbi (“Ho spento la luce?”, “Ho chiuso la porta?”), l’ordine o la simmetria, gli impulsi aggressivi (ad esempio gridare delle oscenità o mancanza di controllo sulla sessualità), ecc.

Si tratta di una malattia cronica che diventa acuta in situazioni di stress. Può essere complicata da depressione e associarsi ad altri disturbi. L’esistenza di fattori genetici causali è stata confermata. È noto che in questo disturbo ci sono alterazioni nel funzionamento di alcuni nuclei cerebrali. Questa condizione può verificarsi anche nei bambini, a causa delle tossine prodotte da alcuni germi che causano tonsillite.

Nel trattamento dell’OCD, sono appropriate le misure generali menzionate negli altri disturbi d’ansia. Non tutti coloro che attraversano un periodo di maggiore ossessività sono malati, ma se i sintomi non scompaiono presto e l’ansia aumenta o ci sono compulsioni, sarà necessaria la terapia medica. Ci sono farmaci efficaci che riducono l’ossessione e la compulsione. Le persone che li rifiutano hanno una prognosi peggiore e possono essere affette da altri disturbi, come il disturbo paranoico della personalità. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, in cui vengono date linee guida per modificare idee ossessive e i rituali compulsivi, è anche efficace.

Capire le compulsioni

È importante non incoraggiare le compulsioni di una persona malata, come potrebbe accadere se un membro della famiglia anticipasse l’apertura delle porte in modo che l’altro non si contamini, o se si rendesse più facile che il malato si lavasse continuamente, ecc. Davanti a domande compulsive e continue – che si possono notare nella direzione spirituale – del tipo: “lo sto facendo bene?”, “Ho detto abbastanza dettagli su questo argomento?”, “Ho chiuso la porta?”, “Il numero di telefono che ho dato è giusto?, ecc., si deve evitare la possibile rabbia o cadere in beffe sarcastiche; non serve nemmeno rispondere come se non fosse successo nulla, per dare tranquillità.

Si può invece dire con calma che già si è risposto a quella domanda: poco a poco si deve aiutare il malato a notare la sua sintomatologia patologica. Bisogna agire e rispondere sempre con calma, con un sorriso, in modo che la persona possa capire il suo modo di agire e impari ad esercitare la pazienza con se stesso e con gli altri. Si deve cercare di semplificarli interiormente, consigliando loro di vivere una vita forse di infanzia spirituale, e comunque di più abbandono in Dio, e di pensare abitualmente agli altri.

3.5 Disturbi dell’umore

Si parla di disturbi dell’umore quando c’è un’alterazione dell’umore, per eccesso o per difetto. Ci sono disturbi unipolari (depressivi) e bipolari (maniaco-depressivi)[21].

Depressione e mania sono due poli. La depressione si manifesta con un tono di umore basso, perdita di interesse e di iniziativa, lentezza nei processi psichici e motori, pessimismo, indecisione e senso di colpa. La mania, d’altra parte, si presenta con euforia, eccitazione psicologica e motoria, disinibizione, ottimismo senza causa, apprezzamento esagerato delle proprie capacità, molteplici iniziative e attività non pianificate, ecc. Un grado minore è l’ipomania: si riscontra in persone che spesso vivono al di sopra della normale felicità e tendono ad essere iperattive e impulsive.

La mania compromette il giudizio e il comportamento sociale. Porta a decisioni disastrose che vengono prese con straordinaria fretta, in famiglia, in ambito economico, ecc. e a comportamenti scorretti, ad esempio in ambito sessuale. Un episodio maniacale è molto sorprendente, può accadere in poche ore ed essere accompagnato da idee deliranti (di grandezza). Questi pazienti sono evidentemente sovreccitati, hanno piani e progetti molteplici, manifestano una grande energia fisica e poco bisogno di dormire.

Gli estremi patologici della depressione e della mania devono essere distinti dalla tristezza e dalla gioia, anche se il limite non è perfettamente definito. Nella malattia, manca la proporzione tra stimolo e reazione, mentre la durata o l’intensità della risposta non è né logica né equilibrata, e si verifica una disfunzione nella vita personale, lavorativa o relazionale.

Altre condizioni che alterano l’umore

Sono molte le condizioni che alterano l’umore. Esistono anche depressioni transitorie, che insorgono in reazione ad alcune festività in cui si sente la mancanza dei propri cari, in anniversari di eventi luttuosi, o, nelle donne, nei periodi premestruali o dopo il parto. Possono presentarsi anche in situazioni di stress professionale prolungato, come il burnout di chi lavora aiutando gli altri (personale sanitario, assistenti sociali, insegnanti, ecc.) ed è sottoposto a continue tensioni emotive provocate dal contatto con dolori fisici o psicologici, a fatica cronica, ecc.

La stanchezza o fatica, a sua volta, può essere normale o essere segno di altre malattie psicologiche o fisiche: anemia, ipotiroidismo, diabete, infezioni, tumori. Nel disturbo da deficit di attenzione e iperattività degli adulti (ADHD), prolungamento del quadro iniziato nell’infanzia, l’ansia e la depressione sono frequenti.

Alcuni periodi critici della vita favoriscono la comparsa di sintomi depressivi, come l’adolescenza, la crisi di mezza età (attorno ai 40 anni) o la vecchiaia. Il processo di menopausa, che rappresenta la fine dei cicli ormonali della donna, è un fattore biologico che può alterare l’umore ed innescare episodi depressivi. Si manifesta in prossimità dei 50 anni e presenta numerosi sintomi di varia intensità e frequenza: vampate di calore e sudorazione, difficoltà di sonno, vertigini, tachicardia, formicolio, dolori articolari e muscolari, problemi intestinali, ecc. La terapia ormonale sostitutiva è efficace, ma ha effetti avversi che dovrebbero essere valutati dal medico.

Causa dei disturbi dell’umore

L’esatta causa dei disturbi dell’umore non è nota, ma la biochimica cerebrale risulta alterata. C’è un’interazione tra fattori biologici (cambiamenti ormonali e dei neurotrasmettitori nel cervello), genetici, psicosociali (circostanze stressanti nella vita affettiva, lavorativa o relazionale) e della personalità. L’eredità genetica è importante, specialmente nel disturbo bipolare. Alcune caratteristiche della personalità che favoriscono la depressione sono l’instabilità emotiva, il sentimentalismo, il nervosismo, l’insicurezza e il perfezionismo.

Esistono anche farmaci che possono causare sintomi depressivi: gli antipertensivi, i medicinali per il Parkinson, la chemioterapia, i contraccettivi, ecc. A volte la depressione è associata a disturbi organici come il morbo di Parkinson.

Prima di descrivere i disturbi dell’umore, è importante chiarire la terminologia. Si parla di depressione maggiore per riferirsi ai classici episodi depressivi di cui parleremo. Il termine “maggiore” indica non tanto la gravità, ma il numero di sintomi. La distimia è una forma di depressione meno grave ma cronica, che di solito è legata ad una personalità vulnerabile (precedentemente chiamata depressione nevrotica) e questa associazione complica sia il trattamento sia la prognosi, in quanto ci sono due problemi che devono essere risolti.

Depressione reattive

Ci sono depressioni reattive, in cui un evento altamente emotivo, come la perdita di una persona cara, la separazione coniugale, la rottura di una relazione affettiva (fidanzamento o amicizia), la perdita di un lavoro, la diagnosi di una malattia grave, ecc., è la causa scatenante. Le depressioni endogene sarebbero invece quelle senza una causa esterna, più legate ad alterazioni biologiche cerebrali.

Le depressioni reattive sono anche collegate a volte al lutto patologico, che è un quadro depressivo che ha origine dopo la morte di una persona cara, quando la tristezza è eccessiva troppo prolungata o di insolita intensità, con pensieri di colpa o idee strane che possono essere deliranti. Esiste anche una forma fluttuante di tristezza ed euforia che dura ore o pochi giorni e non raggiunge la gravità della depressione o della mania: si chiama ciclotimia.

Depressione

In tutte le sue forme, la depressione colpisce fino al 15% della popolazione in un dato momento della vita. Il sintomo guida è una diminuzione dell’umore, con una perdita di interesse e la capacità di godere di tutte o quasi tutte le attività. Comprende la tristezza, la disperazione, l’apatia, la mancanza di iniziativa e l’irritabilità. La manifestazione più comune è l’incapacità di sperimentare la gioia e sentire le cose come prima. 

Altri sintomi sono: ansia, insonnia (spesso si svegliano molto presto), perdita di appetito e di peso, difficoltà di concentrazione, diminuzione del desiderio sessuale, sensi di colpa, rovina, condanna e morte. Ci sono forme psicotiche che a volte si presentano con delirio e danno luogo ad una psicosi depressiva. Nella depressione si aggiungono spesso manifestazioni somatiche come cefalea, dolore, formicolio, vertigini, alterazioni intestinali e cardiovascolari. La malattia depressiva dovrebbe essere sospettata quando le manifestazioni di tristezza immotivata o sproporzionata durano più di due settimane.

Il Typus melancholicus

Lo psichiatra tedesco H. Tellenbach ha definito in buona parte di questi pazienti il Typus melancholicus, le cui caratteristiche sono un eccessivo desiderio di ordine in relazione al mondo e un alto livello di esigenza, che si riflette nella vita professionale e nelle relazioni interpersonali, in scrupoli e in una difficile tolleranza al minimo senso di colpa.

È comune trovare in misura esagerata le seguenti caratteristiche: perfezionismo e desiderio di ordine, responsabilità e onestà, sensibilità, auto-esigenza e intolleranza, senso del dovere e inflessibilità, ricerca di prestazioni ottimali, autostima dipendente dall’opinione altrui, cambiamento di umore e ossessività. Questo modo di essere, simile a quella che oggi è conosciuta come personalità ossessivo-compulsiva o anancastica, porta a vivere con grande tensione psichica e con l’età può produrre depressioni.

Nel compito di formazione e accompagnamento spirituale è utile scoprire questi tratti e guidare le persone in modo che si sviluppino in ciò che hanno di positivo. In questo modo si contribuisce alla prevenzione, anche se la depressione non è un segno di debolezza o una condizione che dipenda dalla volontà della persona. I depressi non si sentiranno meglio per il fatto di impegnarsi di più, o perché dimostrano buona volontà o perché lottano per non essere demoralizzati. Le personalità vulnerabili o fragili possono cambiare cambiando il loro modo di vivere.

Disturbo bipolare

Il disturbo bipolare era chiamato psicosi maniaco-depressiva, per evidenziare la presenza di sintomi psicotici. Consiste nell’alternanza di periodi depressivi come quelli appena descritti, ed episodi di mania, con tempi asintomatici. Di solito ci sono manifestazioni di entrambe le fasi già dalla gioventù. Un singolo episodio di mania chiara è sufficiente per fare la diagnosi di disturbo bipolare e differenziarla dalla depressione unipolare.
I disturbi bipolari hanno frequenti ricadute e richiedono un trattamento permanente con stabilizzatori dell’umore (come i sali di litio). La mania ha bisogno di cure mediche urgenti.

Affrontare i disturbi dell’umore

Il modo in cui si può aiutare una persona con un disturbo dell’umore dipende dalla situazione o dalla fase in cui la persona si trova. Nella mania, come quando ci sono sintomi psicotici, le parole sono inefficaci: è necessario l’uso di farmaci. Nelle fasi depressive, il sostegno della direzione spirituale fornisce valide risorse per comprendere il problema, ma c’è anche bisogno di farmaci. Tra una crisi o dopo la guarigione, i tratti di personalità che predispongono alla depressione possono essere affrontati, con l’intervento di esperti.

Durante la terapia, i familiari, gli amici o l’accompagnatore spirituale possono rafforzare i consigli dei professionisti e dare fiducia nei buoni risultati che si otterranno con i farmaci, che iniziano ad agire dopo due o quattro settimane di trattamento. Bisogna sapere che la depressione è una malattia di solito curabile: 2/3 dei pazienti rispondono bene al primo farmaco. La remissione completa si ottiene in oltre l’80%. Nei casi più gravi, come quando compaiono pensieri di suicidio, può essere necessario un ricovero ospedaliero.

Per aiutare queste persone non ci sono regole universali: ognuna è diversa e deve essere trattata in modo diverso. Serve qualcosa che porti la persona ad uscire da se stessa, a guardare Dio e gli altri con l’umorismo di cui sia capace, umorismo fondato nella gioia dei figli di Dio. Costoro possono provare a controllare la loro immaginazione e vivere giorno per giorno. È necessario ascoltarli con calma, tutte le volte che vogliono. Gli incoraggiamenti generici sono di scarsa utilità. Non si può semplicemente chiedere loro uno sforzo di buona volontà, perché sono indeboliti. Nemmeno sono utili i confronti di questo tipo: “Ci sono molti che stanno peggio di te”.

Il rifiuto delle cure mediche

Se queste persone rifiutano le cure mediche, è utile ripetere quanto il medico ha probabilmente già spiegato loro: i farmaci attualmente in uso non alterano la personalità, non cambiano il modo di pensare né interferiscono in misura significativa con il lavoro o la vita sociale. Non causano neppure una grave dipendenza, anche se utilizzati, a seconda delle necessità, per mesi o anni. Al contrario, facilitano la serenità e la pace.

È necessario cercare di far sì che il malato si allontani da ciò che sente, senza identificarsi con il suo stato d’animo; infondere speranza e chiedere fiducia e pazienza. Vi è spazio per argomenti positivi, come l’esperienza che essi acquisiranno, per aiutare gli altri, e anche una migliore conoscenza di se stessi. Si deve ricordare loro che non serve cercare continuamente una causa, una ragione che giustifichi la loro situazione, perché questa ricerca aumenta la tendenza all’autocritica e favorisce ulteriori sensi di colpa e inadeguatezza.

Possono offrire a Dio la loro tristezza, anche a posteriori – quando si riprendono e si vedono più oggettivamente – con la gioia della fede, che non è né fisiologica né psicologica. È utile aiutarli a capire che Dio permette queste malattie, che dobbiamo imparare a santificarle, perché sappiamo che tutte le cose cooperano per il bene di coloro che amano Dio (cfr. Rm 8, 28). Sarà comunque difficile per loro capire che hanno una malattia come tante altre, che è un tesoro da cui attingere molti beni. In nessun modo dovrebbe essere considerata una punizione.

Quindi, che pensino all’omnia in bonum! (tutto è per il meglio!), e abbiano in mente che offrire a Dio il disagio non significa che tale disagio sparirà immediatamente.

Comprendere e validare la sofferenza dell’altro

È fondamentale che queste persone si sentano capite. L’affettività del paziente tende a deformare tutto, quindi bisogna verificare i sentimenti e far sì che veramente siano capiti, amati e rafforzati in quanto hanno di buono. A volte è più importante che si sfoghino che il fatto di ricevere dei consigli. C’è il rischio che prendano per un ordine o un rimprovero i semplici suggerimenti di direzione spirituale.

I consigli spirituali dovrebbero aiutare, per quanto sia possibile, ad avere più fiducia in Dio, nell’aiuto della Madonna e nell’intercessione dei santi. Servirà loro avvicinarsi a Gesù nel tabernacolo, curare la preghiera mentale e vocale, il contatto filiale con Dio Padre, l’abbandono e la vita di infanzia spirituale. È consigliabile raccomandare testi e temi per la loro preghiera personale: a volte, semplicemente guardando delle fotografie, possono rivolgersi a Dio sotto forma di ringraziamento, ammirazione, adorazione silenziosa, ecc.

È utile incoraggiarli ad un’abbondante preghiera di supplica, proponendo loro alcune intenzioni: la Chiesa, le persone care, tutte le anime. I suggerimenti e gli obiettivi devono essere facili e concreti, raggiungibili e stimolanti, e affrontati in modo tale, d’accordo con la persona, da favorire la sua autonomia e la sua libertà di spirito.

Perfino le idee negative e le ossessioni, se ce ne sono, possono aiutarli a pregare: piuttosto che lottare per sopprimerle direttamente, può servire dare a queste idee meno importanza e usarle anche per risvegliare la vita di pietà, per dire in quel momento qualcosa a Dio. Questo può essere un’ottima prova di fede. È utile anche suggerire loro dei dettagli che facilitino la consapevolezza della presenza di Dio, per i quali si sentano in qualche modo attratti e che siano in grado di fare. Possono continuare a coltivare la conoscenza dello Spirito Santo e chiedere il suo aiuto.

Se hanno l’abitudine di fare un esame di coscienza quotidiano, questo dovrebbe essere facile e breve. Sarà sufficiente considerare poche cose e magari fare un piccolo proposito: ad esempio, ripetere una breve invocazione ogni tanto. Un eccessivo autoesame non serve e porta con sé numerose difficoltà.

Quando tornare al lavoro

Con una terapia adeguata, la maggior parte dei pazienti depressi sarà in grado di svolgere sin dall’inizio della malattia, o dopo un breve periodo, il proprio lavoro, di dedicarsi alle attività familiari, alle pratiche abituali di pietà, ecc. Di solito non ci sono motivi, se non in casi di particolare gravità, per smettere di partecipare alla Messa o non vivere altre devozioni che magari avevano prima, come recitare il rosario o qualche momento di preghiera mentale.

In generale, è consigliabile che seguano un orario lungo la giornata, che includa l’ora di andare a dormire e di svegliarsi. Spesso hanno bisogno di più sonno del solito, anche nel corso della giornata. Il medico potrà aiutarle a concretizzare meglio i dettagli.

È bene che il loro tempo sia occupato e non rimangano nell’inattività. Forse in alcuni giorni saranno solo in grado di leggere qualcosa di divertente o di risolvere semplici problemi, ma è importante che si sentano utili, e che lo siano davvero: i fastidi offerti a Dio sono già un tesoro. È importante aiutarli a fuggire dalla solitudine, dal chiudersi in se stessi, e allo stesso tempo dare loro soluzioni pratiche.

Di solito non è una cosa buona che siano sempre soli – salvo indicazioni mediche – o isolati, ad esempio nei fine settimana. I membri della famiglia possono prendere l’iniziativa: suggerire loro un programma, chiedere cosa desiderano, accordarsi su chi può accompagnarli a fare una passeggiata, comprare qualcosa, ecc. senza mai costringerli.

Se compaiono in queste persone atti contrari alle virtù, quali mancanza di sobrietà, una sensualità non controllata, ecc., si può cercare di far loro capire che quando non si sa come comportarsi bene, non è mai una soluzione comportarsi male. La malattia non deve essere una scusa per permettersi di compiere atti contrari alla legge morale. Ciò non toglie che esistono patologie capaci di diminuire la responsabilità morale di alcune scelte e, in casi estremi, di annullare la libertà del malato. L’amore di Dio e la sua grazia, che non manca mai, permettono di curare anche la salute spirituale.

Nei momenti di depressione può essere più difficile combattere le tentazioni, tra l’altro perché le difese sono diminuite e si hanno meno risorse psichiche per combatterle. Può dare pace ai malati ricordare loro la differenza tra sentire e consentire, e l’importanza degli atti di contrizione e di ringraziamento.

Preservare i legami significativi della persona

Durante il processo depressivo, o una volta superata la fase acuta, quando si fa il bilancio, queste persone potrebbero volersi distaccare da tutto quello che in precedenza apparteneva alla loro vita: il matrimonio, un percorso vocazionale, il lavoro, gli amici, ecc. Bisogna ricordare loro che una situazione psichica alterata non rende facile il prendere decisioni importanti, e incoraggiarle magari ad aspettare.

Quando saranno guarite, saranno in grado di pensare con più calma. In ogni caso, è opportuno far vedere loro che ci sono alcuni obblighi, come il matrimonio, in cui possono aver già impegnato definitivamente la loro volontà e che quindi non possono ignorare. Non considerare questi impegni può far danno non soltanto a loro, ma anche agli altri, come al coniuge o ai figli. Dio non li abbandonerà e potrà ridare loro la forza per seguire fedelmente un certo cammino.

Questi pensieri sono un’opportunità per aiutarli a vedere cosa potrebbe cambiare. Piuttosto che distruggere irrimediabilmente ciò che una volta apprezzavano, possono valutare, con l’appoggio del medico, quali aspetti vivevano forse in modo sbagliato: dove c’era più perfezionismo che amore, o un attivismo sterile, una doppia vita, un rapporto problematico con l’autorità, delle difficoltà di carattere, ecc.

Alcuni stati di stanchezza sul lavoro, che esistono anche in coloro che si dedicano a compiti o iniziative di apostolato cristiano, possono essere evitati con un adeguato riposo, cambiamenti di attività che permettono lo sviluppo di diversi interessi, il sostegno della famiglia, una buona conoscenza di sé, una migliore formazione alle relazioni interpersonali e una corretta valutazione della realtà: il lavoro non è un fine, ma un mezzo. Dio vuole servirsi dei cristiani nonostante i limiti personali, che dovrebbero essere riconosciuti senza negarli o esagerarli; ciò che si fa per amore di Lui ha sempre ripercussioni positive, anche se queste non si vedono immediatamente.

Bisogna sempre parlare a queste persone con grande delicatezza, senza dimenticare di menzionare le virtù che possiedono, il bene che hanno fatto e potranno continuare a fare: «Abbattimento fisico. – Sei… a pezzi. – Riposa. Sospendi questa attività esterna. – Consulta il medico. Obbedisci e non preoccuparti. Presto tornerai alla tua vita e migliorerai, se sei fedele, i tuoi apostolati»[22].

3.6 La personalità matura e i suoi disturbi

La personalità è il modo di essere che si forma lungo tutta la vita. È un’organizzazione dinamica, cioè che cambia e si modifica nel tempo, di tutto il sistema psicofisico, che determinerà un particolare modo di pensare e di agire[23]. È il risultato di interazioni tra fattori costituzionali, ambientali, sociali, sociali, ecc. dove la religiosità ha un’importanza fondamentale.

È comune distinguere due elementi nella struttura della personalità: il temperamento, come substrato fisiologico del funzionamento psichico, che è l’insieme delle caratteristiche ereditate che si sviluppano sin dalla nascita, e il carattere, costituito dagli aspetti del modo di essere acquisiti a partire da influenze esterne come l’istruzione, la formazione, gli eventi e le interazioni sociali e i condizionamenti socio-culturali.

Ci sono numerosi modi di classificare le persone in base al loro temperamento o carattere e ancora più frequenti sono i tentativi di definire che cos’è una personalità matura. Senza entrare nel dettaglio, possiamo affermare che la personalità matura di un cristiano è quella che più si avvicina al Modello: «[…] D’accordo: devi avere personalità, ma la tua deve cercare di identificarsi con Cristo»[24].

Sia gli atti buoni o virtuosi sia quelli cattivi o viziosi influenzano la personalità: la arricchiscono o la impoveriscono rispettivamente. Ci sono alcuni tratti caratteriali che sono considerati pericolosi, perché ostacolano la maturità e l’adattamento all’ambiente e possono generare qualche tipo di patologia psichica. Alcuni esempi sono il perfezionismo, l’attivismo, l’impulsività, l’insicurezza, la bassa autostima e l’ossessività.

Disturbi di personalità

Quando questi tratti o caratteristiche superano un certo limite, insorgono malattie o disturbi della personalità. Sono comportamenti e tratti di carattere negativo o patologico, costanti, rigidi, che influenzano l’intera esistenza del soggetto in tutto il suo stile di vita. Si presentano come modi strutturati e particolari di pensare, di percepire la realtà, di relazionarsi con il mondo e con gli altri, che sono lontani da ciò che ci si aspetta in quella cultura e ambiente. Si manifestano in tutti i settori della personalità: conoscenza, affettività, controllo degli impulsi, relazioni interpersonali, sociali e lavorative. Conducono ad un forte senso di vuoto esistenziale e molta sofferenza.

I disturbi di personalità iniziano a causare problemi nell’adolescenza o nella prima età adulta. Per la diagnosi è necessario che i tratti siano veramente inflessibili – non solo presenti in alcuni momenti o come risultato dell’adattamento a determinate circostanze – e che compromettano significativamente il normale funzionamento della persona o causino sofferenza soggettiva. Pur essendo di solito stabili nel tempo, con un adeguato trattamento psicologico – che si chiama psicoterapia – migliorano notevolmente.

Capire questi disturbi serve per aiutare molte persone e anche per conoscere meglio se stessi. Si devono differenziare dai normali difetti, anche se alcuni mezzi per affrontarli sono simili. La causa esatta delle malattie della personalità non è nota. I fattori genetici e del percorso formativo hanno un’influenza significativa: le carenze familiari, in particolare la mancanza di affetto o abusi subiti nell’infanzia, l’educazione, le relazioni interpersonali e le esperienze negative. Le persone con un’intensa vita spirituale hanno un’arma in più per superare i tratti anomali.

Classifica dei disturbi di personalità

Il Manuale delle Malattie Psichiatriche (DSM-5) li presenta in tre gruppi, dove ci sono molte sovrapposizioni:

  •  Gruppo A: Disturbi della personalità paranoici, schizoidi e schizotipici. Sono persone che sembrano strane o eccentriche.
  •  Gruppo B: Disturbi di personalità antisociali, borderline, istrionici e narcisistici. Sono persone molto emotive, melodrammatiche, imprevedibili.
  •  Gruppo C: Disturbi Evitativi o Ansiosi, Dipendenti e Ossessivo-Compulsivi della personalità. Sono persone con un’ansia o una paura permanente.

Caratteristiche dei disturbi

Esamineremo brevemente le caratteristiche di ciascuno di questi tipi di personalità.

Schizoidi: si presentano freddi e lontani, con poca esperienza emotiva, sono soli e rifiutano le relazioni sociali.

Schizotipici: nel passato si diagnosticavano come schizofrenia semplice; hanno pensieri e comportamenti stravaganti, spesso hanno una storia familiare di schizofrenia, e in situazioni di stress possono presentare sintomi psicotici.

Paranoidi: sono freddi e lontani nelle relazioni sociali, costantemente sospettosi degli altri, portatori di rancori molteplici.

Antisociali: non seguono regole morali o sociali; hanno un profondo deficit di autostima che si trasforma in oppressione degli altri; spesso cadono in droghe e altri tipi di dipendenza.

Disturbo borderline della personalità: il 75% è costituito da donne; hanno anch’essi bassa autostima; sono molto impulsivi, ansiosi e irritabili; cambiano improvvisamente di umore, alternando rabbia e gioia; sono instabili nelle relazioni sociali; sviluppano idee paranoiche e spesso autolesionismo nel tentativo di neutralizzare il dolore psichico (la sofferenza causata da esso) con il dolore fisico.

Istrionici: assumono un atteggiamento teatrale, con emozioni esagerate; reagiscono male se non sono al centro dell’attenzione; seducenti e provocativi.

Narcisisti: coltivano idee irrealistiche di grandezza, sentimenti di superiorità; credono di essere speciali o unici; approfittano degli altri per i propri fini; cadono nell’invidia; mancano di empatia o della capacità di accorgersi di ciò che accade intorno a loro e di ciò di cui gli altri hanno bisogno.

Evitanti o ansiosi: evitano ogni situazione di rischio e i contatti interpersonali – anche se li vorrebbero – per paura del rifiuto, della vergogna, del ridicolo e dell’umiliazione; si sentono personalmente inferiori agli altri; hanno paura di parlare in pubblico o di essere al centro dell’attenzione; soffrono di isolamento.

Dipendenti: manifestano una dipendenza patologica dagli altri; sono incapaci di decidere da soli; hanno paura di essere abbandonati a causa della loro grande insicurezza, che porta ad un atteggiamento di totale sottomissione.

Ossessivo-compulsivo o anancastico: sono perfezionisti, inflessibili ed eccessivamente preoccupati dell’ordine; odiano gli errori e hanno difficoltà a decidere per paura di sbagliare, il che li porterebbe a perdere la stima e l’apprezzamento degli altri e a riaccendere il loro profondo senso di inferiorità; sono troppo attenti ai dettagli, alle regole, alle liste di cose da fare, il che li fa sentire utili e preziosi; si dedicano ossessivamente al lavoro; non hanno la capacità di delegare a causa della sfiducia e della necessità di controllare tutto; cadono spesso in scrupoli.

Prevenire i disturbi di personalità

La prevenzione dei disturbi di personalità sembra possibile se l’ambiente familiare è curato e i tratti pericolosi sono individuati precocemente; nei giovani è più facile porvi rimedio, perché la personalità è più duttile. Questo compito appartiene in primo luogo ai genitori, ma anche agli insegnanti e, in una certa misura, al direttore spirituale. I disturbi di personalità si formano nell’arco di diversi anni; la guarigione, quindi, richiederà tempi prolungati.

L’ansia e la depressione, che spesso accompagnano questi disturbi, dovrebbero essere ridotte e le relazioni interpersonali riorientate. I farmaci sono meno utili che in altri disturbi.

Trattare con questi pazienti è difficile, quindi la pazienza è essenziale. Con calma e serenità, è bene dire loro cosa si vede dall’esterno nel loro modo di essere e di agire. La delicatezza deve essere estrema perché non si sentano feriti o si rafforzino in una falsa convinzione: gli altri fanno di tutto per infastidirmi. Sono da evitare i commenti o gli atteggiamenti sarcastici.

Di fronte ad una persona arrabbiata o agitata – come non di rado si presentano – la calma e l’autocontrollo devono essere curati ancora di più. Come in molte altre occasioni, un interlocutore pacifico e calmo domina sul nervoso e inquieto: la pace può essere mantenuta con toni concilianti.

Le persone con personalità alterata non si considerano malate

Spesso le persone con personalità alterate non si considerano malate, per cui è difficile per loro accettare l’assistenza medica. Quando si lamentano della loro sofferenza, si può ricordare loro che è possibile modificare, con l’aiuto degli esperti, il modo di essere, il loro rapporto con se stessi e con gli altri, per dare una nuova direzione alla loro vita. Accettare la difficoltà è già cominciare a cambiare.

È auspicabile che si accostino al sacramento della confessione con frequenza: la grazia di Dio e il perdono che ricevono sarà efficace, e renderà loro facile scoprire i loro errori e i peccati, più o meno coscienti. A volte, è essenziale che anch’essi imparino a perdonare e a dimenticare alcune ferite del passato. Se hanno idee di autolesionismo o sintomi psicotici, l’intervento del medico è urgente.

In pratica, è comune trovare persone con alcuni tratti negativi – tutti ne hanno alcuni – che non costituiscono però un disturbo della personalità, per mancanza di intensità e perché non compromettono seriamente il normale funzionamento dell’individuo. Non è sempre facile distinguere tra una malattia di personalità, una caratteristica patologica del modo di essere, un semplice difetto transitorio o una mancanza di maturità psicologica[25].

Quando c’è un disagio soggettivo significativo o duraturo o conseguenze esterne negative, come conflitti familiari e sociali, è probabile che esista un problema di personalità ed è consigliabile consultare un medico esperto. Anche se non si soddisfano i criteri per diagnosticare una malattia, queste persone potranno trarre dei benefici da un’assistenza medica o psicologica. È rischioso lasciar passare il tempo, in quanto può ritardare la diagnosi o permettere ai tratti pericolosi di cristallizzarsi e stabilizzarsi.

Lo sforzo per scoprire i difetti importanti di carattere

Anche le persone con difetti di carattere marcati dovrebbero riconoscere il loro problema. Dovrebbero essere incoraggiati a fidarsi degli altri, di coloro che li conoscono e vogliono aiutarli. Ammettere come uno sia è intimamente legato all’accettazione degli altri: questa è la base della virtù dell’umiltà, che regola l’autostima e la stima che abbiamo per gli altri. Il riconoscimento deve andare di pari passo con lo sforzo, affidandosi alla grazia di Dio, per superare una difficoltà o migliorare un difetto. Ci riferiremo ad alcuni casi.

Un’attenzione particolare va rivolta a chi è eccessivamente concentrato su se stesso ed è incapace di scoprire qualcosa di buono negli altri o nel mondo; a chi diventa nervoso per molte circostanze e per i modi di essere propri o degli altri – “Non mi piace come veste, come parla o come mangia –; a chi giudica con irritabilità – “Perché fa questo così?”, che spesso nasconde un: “Perché non lo fa come me? –; a chi vede ogni questione in modo autoreferenziale e pessimista. Molte gravi carenze di carattere nascondono un fattore comune, una sorta di terreno fertile dove crescono altri tratti pericolosi: l’egocentrismo[26].

Mai, tuttavia, queste persone devono essere etichettate: “Ormai lo sappiamo, è cosìÈ possibile cambiare, anche se la lotta, lo sforzo sereno e costante può prolungarsi per tutta la vita.

Il perfezionismo

Una prima caratteristica negativa che va sottolineata è il perfezionismo, che a livello patologico si osserva nel disturbo ossessivo-compulsivo della personalità e in alcune persone con depressione. Può essere collegato alla superbia: cercare di fare le cose bene per amore di se stessi e non per amore di Dio. Ma può anche non essersi sviluppato per orgoglio, ed essere radicato piuttosto nel carattere. I perfezionisti sono persone che vivono in attesa del futuro, con poca tolleranza per le cose in sospeso e una forte dipendenza dall’opinione altrui. È spesso accompagnata da volontarismo, iperresponsabilità e attivismo.

San Josemaría scrisse nel Cammino: «Galoppare, galoppare!… Fare, fare!… Febbre, follia di movimento… Meravigliosi edifici materiali… Spiritualmente: legni di cassetta, miseri drappeggi, cartoni pitturati… galoppare, fare! -E tanta gente che corre: un andirivieni. È che lavorano puntando solo al momento attuale: “sono” sempre “al presente”. -Tu…, tu devi vedere le cose con visione d’eternità, “mettendo al presente” il termine finale e il passato… Calma. -Pace. -Vita intensa dentro di te. Senza galoppare, senza la pazzia di cambiare di posto, nel luogo che nella vita ti spetta, tu, come una poderosa dinamo spirituale, a quanti darai luce ed energia!…, senza perdere il tuo vigore e la tua luce»[27].

L’obiettivo che può essere proposto ad alcuni perfezionisti è quello di dirigere abitualmente lo sguardo al Cielo, senza trasformare l’ordine, la puntualità o qualsiasi virtù in un fine a se stesso. Si cerchi di aiutarli a vivere con la serenità proveniente dal sapere di essere una persona per definizione imperfetta, in un mondo imperfetto e con altre persone anche imperfette. Il passo indispensabile è giungere all’umiltà di ammettere che si sta galoppando senza senso, e di chiedere aiuto.

Devono cercare di «vedere le cose con visione d’eternità» per scoprire il senso dell’amore umano e divino, la realtà di Dio che ci attende. Cominciare e ricominciare senza stancarsi, esercitando la pazienza anche con se stessi. Bisogna insistere sul fatto che la priorità non è fare le cose, ma farle per amore di Dio e degli altri, con una «vita intensa dentro» che trabocca, per dare «luce ed energia» a molti, sapendoli ascoltare e perdonare. Il volontarista deve aprirsi agli altri; deve saper gioire e divertirsi con i suoi parenti e amici, anche se gli sembra di perdere il suo tempo.

Fare le cose per amore e non per dovere

I perfezionisti dovrebbero essere incoraggiati a fare le cose con una convinzione interiore: “Perché lo voglio”Devono accettare il fatto che non è possibile arrivare a tutto. Il gusto per una vita sana e virtuosa non è il desiderio di un bambino determinato a realizzare ciò che gli piace – un gelato, un capriccio -, ma un desiderio radicato nella maturità: voglio perché faccio mio ciò a cui tengo, perché condivido l’obiettivo, per amore di chi mi dà un incarico o un lavoro, per donazione. Dio non ci chiede di galoppare per fare ogni giorno cose sempre più difficili, come il povero orso del circo che un giorno è stato messo su due gambe, l’altro su una bicicletta, poi con i pattini sul ghiaccio.

Dio, il più delle volte, ci chiede di risolvere gli stessi problemi ogni giorno, ma sempre con più amore. I piccoli propositi sono utili e ricordano continuamente che la vita cristiana è gioiosa. In pratica, li aiuterà avere alcuni hobby o attività che li portino ad imparare a godersi la vita quotidiana. Devono esercitarsi ad essere flessibili, nell’accettare cambiamenti di orari o piani, nell’offrire le piccole contrarietà a Dio con un sorriso.

Occorre promuovere un atteggiamento positivo: che cerchino le cose buone negli altri e in se stessi; che imparino a ridere e accettino la possibilità di sbagliare. Non possono sentirsi chiamati a risolvere tutti i problemi dell’umanità. La semplicità e l’abbandono in Dio sono importanti.

Esercizi per ridurre le difficoltà di carattere

In un contesto appropriato, possono essere proposti ai perfezionisti degli esercizi volti ad attenuare le caratteristiche dannose della loro personalità. Ad esempio, a una persona che è sopraffatta perché pensa di dover correggere immediatamente ciò che ritiene sbagliato potrebbe essere consigliato di aspettare qualche giorno prima di commentare qualcosa. A chi non finisce mai un lavoro perché pensa che non sia ancora perfetto, si può ricordare che il meglio è nemico del buono, o consigliarle che deliberatamente lasci qualcosa fatta meno bene.

A coloro che non hanno mai tempo per divertirsi o riposare, serve avere un programma che includa attività ricreative. A chiunque pensi che solo lui ha ragione o solo lui fa bene le cose, chiedere di lasciare che gli altri agiscano, che impari a cercare aiuto e consigli. Se hanno una tendenza ai giudizi negativi, che facciano lo sforzo quotidiano per dire e pensare bene di tutto e di tutti, senza valutazioni affrettate e spesso errate.

Instabilità affettiva

Un secondo tratto negativo è l’instabilità affettiva. Anche se gli stati d’animo cambiano per molti motivi normali e spesso banali, alcune persone hanno fluttuazioni più continue. L’affettività – sentimenti, emozioni e passioni – viene amplificata o ridotta. Queste persone sono solitamente molto sensibili o sentimentali. Esse hanno la tendenza a ricordare per lungo tempo malintesi falsi o reali o danni subiti. Questa suscettibilità emerge in certi momenti a modo di esplosioni sproporzionate in seguito a stimoli insignificanti. Spesso hanno un concetto negativo di se stessi: “Io sono inutile, nessuno mi vuole beneCreano forti dipendenze da altre persone e sono molto selettivi nei loro rapporti. Cedono alla gelosia e ai confronti: “Perché a lui e non a me?.

È bene parlare con loro della certezza di essere figli di Dio, del bisogno di dimenticare noi stessi e di esercitare l’umiltà, e aiutarli a parlare della loro affettività, dell’invidia, dei confronti. È necessario scoprire loro il significato della Croce, in modo che crescano in fortezza e temperanza. Siano incoraggiati a promuovere la loro autonomia, affinché sappiano assumersi la responsabilità delle loro scelte, dei loro modi di agire e delle loro opinioni, il che è compatibile con una sana sfiducia nei loro sentimenti.

In questo modo impareranno ad agire per amore, senza prestare troppa attenzione allo stato d’animo. Sapranno perdonare le offese e gioire sinceramente del bene e delle virtù degli altri. Possono chiedere nella preghiera vedere con gli occhi di Cristo, facendo proprio il desiderio di San Giovanni Battista: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3, 30).

Tendenza al pessimismo e alla tristezza

Un terzo tratto che predispone alla malattia è la tendenza al pessimismo e alla tristezza. A volte si trova in persone complicate e introverse, che non riescono a reagire prontamente alle difficoltà. L’autostima è bassa, e lo è ancora di più se hanno avuto dei fallimenti. Sono spesso insicuri e irritabili. Si capisce che si possano isolare, che si chiudano nel loro mondo interiore e si sentano incompresi.

Possono aver subito esperienze passate negative che non sono state assimilate: forse alcune di quelle esperienze sono causa di vergogna e non sono mai state raccontate o confessate nel sacramento della riconciliazione; a volte sono solo piccoli successi che l’immaginazione aumenta. Esternamente sono persone formali e tendono a muoversi per dovere e non per amore di Dio.

È bene parlare con queste persone della virtù della gioia e delle sue manifestazioni e consigliare loro di sorridere di più per cercare di avere un’espressione che dia pace, come il volto di Cristo. Servirà loro imparare a sdrammatizzare le situazioni esterne o interne, gli stessi difetti. È necessario aiutarli a conoscere i loro sentimenti personali e a intuire quelli degli altri: capire come si sono formati, per non aver paura di manifestarli. Serve anche che svolgano attività insieme agli altri, condividendo tempo, gioie e dolori, riposo e interessi; che abbandonino l’autocommiserazione e l’isolamento; che imparino a lavorare in gruppo, senza affidarsi esclusivamente alle proprie capacità.

Consigli pratici al pessimista

come esercizi pratici, si può raccomandare loro di sforzarsi per fare bene le cose per amore di Dio e degli altri, anche quando non ci sia desiderio o gusto; e pensare che gli altri li capiscono, anche quando sembra loro che non lo fanno. Che cerchino di agire con pace, convinti di fare bene le cose, a meno che non venga loro detto il contrario in un punto specifico: se scoprono dei difetti veri o mancanze, che cerchino un rimedio e chiedano aiuto.

I casi di cui sopra vanno distinti da quelli che vivono situazioni di tristezza e abbandono come prove straordinarie di Dio. Ci allontanerebbe dagli obiettivi di queste pagine entrare in questo fenomeno, che molti santi hanno vissuto. Il consiglio dei santi, tuttavia, è utile a chiunque stia attraversando momenti di scoraggiamento o addirittura di depressione.

I consigli dei santi

Santa Teresa di Lisieux, in mezzo a una di queste situazioni, esclamò: “Nonostante questa prova, che mi toglie ogni gioia, posso dire, tuttavia: “Signore, tu mi colmi di gioia con tutto quello che fai” (Salmo 91). Perché, c’è forse una gioia più grande di quella di soffrire per tuo amore?… Più la sofferenza è intima e meno appare agli occhi delle creature, più ti rallegra, o mio Dio»[28].

Così si esprimeva San Josemaría: «Dammi, Gesù, una Croce senza cirenei. Ho detto male: avrò bisogno della tua grazia, del tuo aiuto, come in tutto; sii Tu il mio Cireneo. Con te, Dio mio, non c’è prova di cui abbia paura… – Ma, e se la Croce fosse il tedio, la tristezza? – Io ti dico, Signore, che, con Te, sarei lietamente triste»[29]. Se il sintomo depressivo o il malessere non scompare, almeno l’atteggiamento cambia e si facilita un miglioramento.

L’insicurezza

Un’altra caratteristica che appare nelle persone con tendenza alla depressione è l’insicurezza. I consigli sono simili a quelli offerti per i perfezionisti e quelli che vedremo per gli scrupolosi. L’insicurezza può aumentare quando si osservano i limiti della vita: coloro che pensavano di sapere tutto, di essere i migliori, si rendono conto che si sbagliano, che ci sono molte cose che non hanno imparato, che non possono cambiare secondo la loro volontà. Alcuni traumi dovuti a carenze fisiche o intellettuali, reali o immaginarie, aggravano il problema.

Gli insicuri tendono a cercare il riconoscimento e l’accettazione. Cadono nei confronti e dipendono molto da quello che diranno gli altri. Per paura di fallire o di fare una brutta figura possono rimanere immobili, smettere di decidere e non chiedere aiuto.

Questa caratteristica porta alla tristezza e all’isolamento e non è raro che assumano un atteggiamento brusco o arrogante come difesa. Essi tendono ad essere rigidi sulle opinioni personali e su alcune questioni. Come gli adolescenti, sono inclini alla competitività, soprattutto sul lavoro. I giovani professionisti con questa tendenza abbracciano l’attivismo lavorativo.

Hanno bisogno di essere convinti che un figlio di Dio decide in ogni momento sapendo che può commettere un errore. Devono accettare che la sicurezza al cento per cento sulla terra è impossibile; e praticare atti di contrizione, con la gioia del figlio che ritorna tra le braccia del Padre.

Miglioreranno se scoprono che la sicurezza è in Dio e agiscono pensando che si trovano alla sua presenza, se accettano la realtà: «Davvero la vita, di per sé limitata e insicura, a volte diventa difficile. – Ma questo contribuirà a renderti più soprannaturale, a farti vedere la mano di Dio: e così sarai più umano e più comprensivo con chi ti sta accanto»[30].

Prevenire l’insorgere dell’insicurezza nei bambini

Per prevenire lo sviluppo di personalità poco sicure, nell’educazione o nella formazione dei giovani, è meglio non dare loro tutto come già fatto e deciso, ma incoraggiare l’iniziativa personale. Bisogna proporre degli obiettivi possibili. È necessario infondere un senso di vera sicurezza e aiutare a scoprire l’immenso valore che ognuno ha in virtù del suo essere figlio di Dio, redento da Gesù Cristo. Si affronta così la vita nel presente senza sognare altre realtà, e si mette in pratica la capacità di decisione: «La libertà dell’uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni»[31].

Un ultimo tratto è il vittimismo. Le parole correlate a questo concetto sono interessanti, perché mostrano bene alcune caratteristiche: autocommiserazione, lamentele, proteste, brontolio, narcisismo. Di solito vedono quello che succede loro con un senso soggettivo di essere qualcuno che si immola, un martire. Hanno una grande difficoltà ad accettare la volontà di Dio, ma anche le normali coincidenze del giorno: qualcosa che non accade a seconda di ciò che è stato pensato, voluto o previsto, o una malattia.

Per certi versi assomigliano a soggetti che soffrono di paranoia: tutto è contro di loro. Non hanno idee deliranti, tranne quando questa malattia si sviluppa. Il vittimismo è legato al narcisismo, alla fissazione sulla propria persona. Cercano continuamente ragioni per lamentarsi, per sentirsi oppressi, sottovalutati, incapaci di fare qualcosa. Hanno un’immagine alterata di se stessi, fluttuando dall’auto-ammirazione all’odio per se stessi.

Sono molto impressionabili e possono sentirsi umiliati o feriti per qualsiasi cosa. Interpretano il linguaggio e i gesti, non accontentandosi di ciò che viene loro detto apertamente. Si rivolgono frequentemente al medico per mal di testa, mialgie, dolori articolari, allo stomaco, ecc.

Dobbiamo aiutarli a meditare sulla passione del Signore, l’unica vittima. Se questo viene accettato, il pericolo viene scongiurato. Il pensiero e convinzione di sapere che Gesù Cristo, innocente, ha sofferto per l’umanità, apre orizzonti di donazione e fa scomparire o diminuire il senso anomalo di vittima. Lascia spazio alla felicità e al superamento di ogni dolore reale o fittizio.

3.7 Scrupoli: prova o malattia?

L’etimologia della parola scrupolo riflette il tipo di disagio che produce: deriva dal latino scrupulus, o piccola pietra appuntita, come quelle che possono entrare in una scarpa e causare molto disagio se non vengono rimosse. Così si presentano l’ansia e la paura delle idee ossessive dello scrupoloso.

Gli scrupoli in persone senza patologia sono di solito di breve durata. Se invece non sono qualcosa di fugace, come nell’adolescenza o in chi inizia un percorso spirituale, possono nascondere una malattia psichica che richiede diagnosi e cure mediche: gli scrupoli possono essere il sintomo di un disturbo ossessivo-compulsivo e sono frequenti anche in personalità insicure e perfezioniste.

Ci sono diversi tipi di scrupoli: pensieri immorali in luoghi o situazioni particolari, idee di condanna, preoccupazione continua per i peccati già confessati, ecc. Possono essere accompagnati dalla compulsione, cioè dall’irresistibile spinta ad agire in un certo modo: confessarsi più volte, recitare più preghiere, correre fino all’esaurimento, colpirsi o farsi del male per sfuggire alle tentazioni. Se ci sono manifestazioni di questo tipo che non cedono ai normali consigli, il bisogno di assistenza medica è più chiaro.

È importante distinguere gli scrupoli dalla delicatezza o finezza di coscienza che molte anime hanno. In questi casi, la persona nota con pace i propri difetti e riconosce quando ha fatto qualcosa male, ma il dolore è frutto dell’amore di Dio. Altre volte l’interessato scopre il bisogno di una maggiore esigenza, o che Dio gli chiede un impegno più generoso.

La coscienza mal formata

Nei giovani che dicono di avere scrupoli, ci può essere semplicemente un problema di coscienza mal formata o una mancanza di sincerità. Logicamente, ciò che dicono non sarà messo in discussione, ma saranno aiutati a chiarire tutto meglio, nel caso in cui ci siano problemi mal risolti. Bisogna essere delicati, senza forzare, in modo che la persona riesca ad aprirsi, con sincerità, visione soprannaturale, e con il dolore dell’amore.

Di fronte agli scrupoli, si devono prima di tutto utilizzare le risorse soprannaturali, pregando che le persone recuperino sufficiente serenità di coscienza. In seguito, è conveniente spiegare il meccanismo psicologico con cui a volte si formano: ansia anticipatrice. Si tratta di un circolo vizioso: paura di pensare o di sentire qualcosa → sentirla o pensarla con maggiore intensità e la ricorrenza → aumento della paura o l’ansia → pensata o sentita in modo irrazionale, anche se non è desiderata.

Questo fenomeno si interrompe se l’importanza di quanto si pensa o si sente viene minimizzata, per quanto possibile con umorismo; e se la persona capisce che le sue idee sono diverse da se stessa. Questo significa prendere le distanze da quelle immagini, per superare l’ossessione. Nella direzione spirituale, facendo appello alle sue risorse morali, si può dire a queste persone, per esempio: “Dio è più felice che tu accetti la possibilità di commettere errori e i tuoi dubbi che con la certezza di non averlo offeso”.

La sicurezza che viene da Dio

Devono essere convinti che la gioia e la pace dei santi, la loro infallibile sicurezza, viene da Dio: «Della sua misericordia mai ho diffidato; di me molte volte»[32]. Dobbiamo aiutarli a ridere di se stessi, a non avere paura ma amore. Una coscienza ben formata porta a vivere serenamente, approfittando anche di occasioni che possono nuocere all’anima – un’immagine scomoda, un manifesto pubblicitario provocatorio, il cattivo esempio di personaggi pubblici o delle autorità – per ricordare il Signore e la Vergine, per pregare di più e con senso positivo.

Si possono ricordare agli scrupolosi alcuni principi morali. Per esempio, quando una persona vive abitualmente bene una virtù, se ha dubbi sul fatto che un particolare atto contrario sia stato un peccato mortale o veniale, deve pensare che sia stato veniale. D’altra parte, se in genere non la vive bene, in caso di dubbio dovrebbe pensare che è stata una mancanza grave. Comunque, un’anima innamorata è interessata a non offendere affatto Dio, aborre anche il peccato veniale deliberato, anche se la differenza tra peccato mortale e veniale è radicale.

Si può ricordare loro che i peccati veniali possono essere perdonati da un atto di contrizione, dall’uso dell’acqua santa, dalla comunione, ecc. e, logicamente, dalla confessione; ma non aiuta ad uscire dall’ossessione confessarsi – per scrupolo – ogni volta che si ha dei dubbi. Volere definire esattamente il grado di peccato, con un’esatta percentuale di bontà o di malizia, è di solito una preoccupazione scrupolosa.

Di come padre perfetto

Vale la pena insistere sull’amore di Dio, che ci cerca come il migliore dei genitori, e sulla filiazione divina che ci permette di rispondere con fiducia alla chiamata come figli prediletti. È utile che queste persone comprendano bene che cos’è la virtù – e imparino a vivere secondo la virtù – la legge, la coscienza e soprattutto l’azione dello Spirito Santo nelle anime attraverso la grazia e i sacramenti; e, in modo pratico, che comprendano che ci sono molti modi per piacere a Dio e che ognuno ha la sua via – in Gesù Cristo, guidati dallo Spirito Santo – per arrivare a Lui.

Nel compito di aiutarli a risolvere le loro preoccupazioni, i loro problemi devono essere presi in seria considerazione, il che li rassicura e li riempie di serenità. Li aiuta vedere energia e fermezza nei consigli, chiedendo loro di aderire ai criteri che vengono loro presentati. Può essere opportuno spiegare come utilizzare al meglio il sacramento della confessione: che si limitino ad esporre i fatti, ricordando che il giudice è il sacerdote e non loro; e che l’obbedienza al consiglio del confessore sarà il modo in cui formeranno una coscienza pulita e saranno liberati dai loro scrupoli.

È necessario semplificare la loro vita interiore e incoraggiarli ad accrescere la fiducia in Dio. Possono imparare a fare un semplice esame di coscienza, con poche domande: è la luce di Dio che conta, non l’introspezione a cui sono inclini. Si consiglia di limitare i tempi d’esame a poche domande ben definite. Bisogna insistere sull’utilità di dimenticare se stessi, avere un lavoro abbondante pieno di significato e preoccuparsi per gli altri. Questa è, umanamente e soprannaturalmente, una risorsa splendida, e Dio darà loro la luce, come ricompensa per la buona volontà.

Anche se può sembrare un paradosso, gli scrupoli si attenuano quando si favorisce un sano senso di colpa, che oggi tende ad essere eliminato. Cioè, quando si accetta la possibilità di essere colpevole, con tutte le sue conseguenze, e di poter chiedere perdono! In questo modo, il rimorso si trasforma in pentimento.

3.8 Disturbi alimentari

Sono caratterizzati da alterazioni comportamentali nei pasti e da una percezione deformata del peso e della propria immagine corporea. Prima dell’insorgenza dei sintomi, c’è spesso un difetto di identità personale. Le cause sono genetiche, biologiche e psicologiche. Sono frequenti il perfezionismo, la mancanza di equilibrio affettivo, le paure, storia di abusi, deficit emotivi e cognitivi, la depressione, l’ansia e i disturbi di personalità.

Giocano un ruolo altri fattori familiari come l’obesità di uno o di entrambi i genitori, i conflitti o l’eccessiva preoccupazione per il peso. Le cause precipitanti possono essere la separazione dei genitori, la necessità di lasciare temporaneamente la famiglia, una malattia fisica, un incidente o un’esperienza traumatica. Ricordiamo che l’obesità non è una malattia psichiatrica, anche se può nascondere un’ansia eccessiva o un umore fluttuante. I disturbi alimentari più importanti sono due.

Anoressia nervosa: alterazione della percezione dell’immagine corporea e paura patologica dell’obesità, che porta a non mangiare e a una perdita di peso che mette a serio rischio la salute. È presente quasi esclusivamente nelle donne (95 %). Di solito inizia nell’adolescenza. Sebbene anoressia significhi mancanza di appetito, l’appetito non è influenzato se non in fase avanzata.

La bulimia nervosa si verifica con episodi ricorrenti, almeno due volte alla settimana, di abbuffate, durante le quali la persona mangia grandi quantità di cibo e si sente incapace di smettere di mangiare. Poi vengono gli sforzi compensativi per prevenire l’aumento di peso: vomito autoindotto, abuso di diuretici e lassativi, esercizio fisico esagerato. Anch’esso colpisce principalmente le donne.

Se si sospetta la presenza di queste malattie, bisogna consultare un medico. Il trattamento comprende alcune forme di psicoterapia e farmaci, soprattutto per prevenire le ricadute e ridurre l’ansia o la depressione. Da parte della famiglia e di coloro che si occupano di questi pazienti, la pazienza è importante.

A chi soffre di anoressia può essere detto quanto sia pericoloso il suo atteggiamento e tentare di trasmettere la certezza che riacquistando peso anche la percezione di se stessa migliorerà. Nella direzione spirituale è necessario promuovere la sana autostima di essere figli di Dio, mettendo in evidenza le tante buone qualità che la persona possiede. Gli argomenti di interesse e gli hobby dovrebbero essere allontanati da ciò che è ossessivo, come in altre situazioni simili; si cerchi cioè di spostarli su terreni diversi dal cibo e dal peso. La bulimia è trattata in modo simile.

3.9 Alterazioni della sessualità

Ci sono molti disturbi nel campo della sessualità. L’attività sessuale incontrollata crea dipendenza e, se iniziata troppo presto, senza attendere la normale età del matrimonio, può portare ad alterazioni psichiche. Ci sono persone che si concentrano in modo sproporzionato su ciò che è più fisico e animale: molti diventano incapaci di vedere il rapporto tra sessualità e amore o donazione, la procreazione dei bambini, ecc. Alcuni lo sviluppano in modo chiaramente patologico e considerano gli altri solo un oggetto di piacere.

Molti semplici inconvenienti possono essere risolti chiarendo la coscienza o con il consiglio di un medico prudente, o anche con la lettura di un buon libro. Nella direzione spirituale, si dovrebbero conoscere gli aspetti morali, per dare formazione e tranquillità. Quando si sospetta qualcosa di patologico, con prudenza, è consigliabile suggerire una visita da uno specialista che abbia un’idea adeguata dell’essere umano e della sua sessualità.

Purtroppo, alcuni psichiatri consigliano una sessualità senza regole. Se mantengono un po’ di buon senso, non sostengono che tutti i comportamenti sessuali sono normali, ma in pratica non vedono limiti.

Le principali alterazioni psichiche nella sessualità sono le disfunzioni, che compromettono l’esercizio di questa facoltà: sono frequenti e possono avere un’origine psicologica o organica; per molte di queste esistono terapie efficaci ed è conveniente consultare medici esperti. Poi c’è anche il disordine dell’identità di genere (oggi chiamato disforia di genere), o ferma convinzione di appartenenza al sesso opposto, e le parafilie, dove l’oggetto dell’appetito sessuale è inadeguato (p. es. la pedofilia).

Il fenomeno della masturbazione, senza essere una malattia, può indicare un disagio psichico se usato come metodo per combattere l’ansia. A volte è la manifestazione di un disturbo ossessivo. Gli specialisti notano che questi atti lasciano un senso di vuoto interiore, anche in persone che non hanno mai sentito parlare del sesto comandamento del Decalogo. Non si può dire che sia innocuo o indifferente. Proprio perché è un disordine, compromette l’intera persona.

Il danno che la masturbazione fa alla vita spirituale è grande. Il fatto che sia frequente in periodi come l’adolescenza non significa che sia salutare. I genitori, gli educatori e gli accompagnatori spirituali possono aiutare i giovani a formarsi su questi aspetti e a combattere serenamente – senza paura o caricando su di loro colpe controproducenti -, sapendo che è possibile vincere, con la grazia di Dio e con i mezzi consueti. In questo modo, la cattiva abitudine non diventa un vizio sempre più difficile da sradicare, anche dopo il matrimonio.

Le attività omosessuali

Anche l’attività omosessuale non è considerata una malattia da molti psichiatri ed è evidente che in alcuni casi corrisponde ad una scelta più o meno libera del soggetto. Tuttavia, ci sono persone che, in modo del tutto involontario, scoprono in se stesse una tendenza omosessuale formatasi in seguito a circostanze legate all’educazione familiare, alla vita infantile e all’adolescenza: molti sono in grado, con la grazia di Dio e l’aiuto di specialisti, di superare il problema[33].

Altri, talvolta sotto la pressione di gruppi di attivisti, cercano di convincersi che la pratica omosessuale è loro connaturale, sicura, piena di bontà e di gioia (ideologia gay). In ogni caso, l’esperienza mostra una grande sofferenza in molte persone che sperimentano un desiderio sessuale per lo stesso sesso.

Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, l’ordine morale richiede che l’uso della facoltà sessuale avvenga nel quadro delle normali relazioni coniugali, in un «contesto di vero amore»[34].

Antropologia della sessualità

Una buona antropologia della sessualità, intesa in relazione all’amore, è fondamentale per prevenire e aiutare in queste situazioni, che spesso riflettono un problema esistenziale più profondo. L’educazione alla capacità di amare, all’interno della famiglia, getterà le basi per uno sviluppo sano. Il piacere deve essere considerato un effetto e non un fine. Altrimenti, si potrebbe addirittura arrivare ad eliminare la soddisfazione, anche quella sensuale.

Il momento specifico dell’espressione dell’amore sessuale è il matrimonio: solo in esso sono presenti le caratteristiche più positive della donazione, e si apre il cammino ad un rapporto specificamente umano.

I giovani devono essere avvertiti del rischio – non solo morale, ma anche per la salute – dell’attività sessuale troppo anticipata, come dimostra la psicologia: «Il giovane che venga spinto prematuramente verso una vita puramente sessuale, non potrà più pervenire ad una valida sintesi tra erotismo e sessualità»[35]. Non uscirà da se stesso verso l’altro, non sarà in grado di amare veramente. Essi compromettono la stabilità di un futuro matrimonio, lo sviluppo di altre competenze, gli studi e la professione e aumentano il rischio di malattie mentali e sessualmente trasmesse.

Nella direzione spirituale, di fronte a problemi di questo tipo, bisogna ascoltare, sapendo che può essere più difficile per una persona parlare, per vergogna. L’obiettivo è quello di aiutarli ad imparare ad amare, che sarà la migliore garanzia di una vita sessuale degna dell’essere umano.

La sessualità in primo piano può essere un segno di disordine

Se la questione della sessualità è sempre al primo posto, c’è qualcosa di sbagliato: molti altri interessi, ideali e valori devono essere messi al primo posto. Una persona con attività sessuale incontrollata, frequenti atti contrari alla virtù della castità, o con una tendenza omosessuale che vorrebbe cambiare, trarrà beneficio dall’assistenza medica o psicologica.

È sempre necessario cercare le cause delle difficoltà ricorrenti e porvi rimedio. Se la disponibilità della persona interessata a risolvere la questione è confermata, ma non riesce a farlo con i normali consigli, si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di un malessere psicologico. L’ansia, la depressione, l’ossessività, altri disturbi della personalità o tratti come il vittimismo contribuiscono a questi problemi.

Più in generale, un’educazione adeguata deve portare alla maturità degli impulsi, cioè alla loro integrazione nell’insieme della personalità, che ha una chiara dimensione auto-trascendente. Occorre promuovere una vera intimità: difendere il regno intimo, il pudore e la modestia; insegnare a vestirsi adeguatamente secondo le circostanze familiari e sociali, nel rispetto degli altri e di se stessi.

A volte un abbigliamento povero e provocatorio riflette insicurezza e bassa autostima. Qualsiasi consiglio, comunque, non deve darsi o apparire come una semplice regola esterna e rigida. Vale a dire, dobbiamo dare ragioni, cristiane e di carattere antropologico più generale, sul perché è opportuno comportarsi in un certo modo, affinché ognuno possa agire con piena libertà interiore.

3.10 Alcolismo e tossicodipendenza

L’alcolismo e la tossicodipendenza sono problemi di enorme rilevanza sociale, soprattutto perché sono aumentati in modo sproporzionato in molti paesi e colpiscono sempre più i giovani. Non è possibile essere esaustivi su un argomento così ampio, che potrebbe includere molteplici aspetti[36]. Né pretendiamo di parlare di tutte le condizioni morali del consumo di alcol, che può essere eccessivo e molto dannoso, senza diventare perciò stesso una dipendenza, o essere legittimo e buono se regolato con moderazione. La tossicodipendenza, d’altra parte, non è mai moralmente accettabile, perché danneggia la salute psichica, fisica e spirituale anche a basse dosi: non esiste un vero e proprio uso ricreativo delle droghe.

Ci concentreremo ora sulla situazione medica nota come dipendenza da sostanze, alla quale spesso conducono l’alcool e le droghe e che è correlata ad altri disturbi psichici. Assomiglia alle malattie ossessivo-compulsive. La persona non è in grado di controllare i suoi impulsi, il che finisce per generare un’abitudine che, in qualche modo piacevole, rende ancora più difficile liberarsene. Questo accade anche se il soggetto è consapevole che questa abitudine o sostanza lo danneggia o rappresenta un rischio.

Il piacere può essere percepito sotto forma di piacevoli sensazioni psicofisiche: disinibizione, percezioni allucinatorie, eccitazione della sensualità, oppure come dimenticanza o evasione da pesi, preoccupazioni e responsabilità. In alcuni casi, l’obiettivo principale è che i soggetti si rendano conto che ciò che desiderano è nocivo per loro. La direzione spirituale gioca un ruolo importante, aggiungendo motivi soprannaturali alla necessità di liberarsi di un vizio. Il consumo di alcol che causa dipendenza è sempre un male, in quanto porta a gravi danni morali e fisici.

Il sostegno alle persone con dipendenza

Le persone con dipendenze patologiche hanno bisogno di molto sostegno e vicinanza. Devono essere aiutate a scoprire i punti negativi della loro dipendenza e le loro caratteristiche dannose. Quando si rendono conto che la droga o l’alcool – come altri capricci pericolosi – non sono una fonte di vero piacere ma un problema che toglie loro l’autonomia, sono in grado di risolvere la situazione.

I meccanismi psichici sono simili ad altre condizioni che riducono la libertà: ossessioni di qualsiasi tipo, dipendenza dal gioco d’azzardo, ossessione per la sessualità, per il cibo, ma anche per attività più innocue che diminuiscono l’autogoverno, come il fumo eccessivo – la possibile immoralità del tabacco non è nel suo uso, ma nell’abuso -, nella lettura o nel guardare Internet senza controllo o limiti (oggi noto come Internet Addiction Disturb: IAD), e così via.

Un obiettivo importante per alcolisti e tossicodipendenti – e altre dipendenze – è scoprire il senso dell’esistenza, recuperare la fiducia nella vita quotidiana, nella possibilità di lavorare, di avere ideali, di essere utili. Affinché la terapia produca dei buoni risultati è importante che le persone affette trovino forti motivazioni per rompere con uno stile di vita dannoso. Una ricca esistenza spirituale, l’amore di Dio, la bellezza della creazione se si guarda al Creatore e agli altri, forniscono valide ragioni.

Nell’accompagnamento spirituale, oltre a consigliare l’assistenza medica solitamente indispensabile in caso di dipendenza, è opportuno chiarire il danno morale, l’offesa a Dio che suppone l’uso di droghe o alcool in eccesso; e avvertire che questo spesso porta ad altri mali, come il furto per procurarsi la sostanza, gli attentati alla vita degli altri sotto l’effetto dannoso dei prodotti, i peccati contro varie virtù, ecc. È utile parlare delle amicizie che si hanno e incoraggiare, se necessario, a lasciare alcuni ambienti che favoriscono le ricadute; e anche dell’obbligo morale di evitare occasioni di peccato[37].

Il ruolo della famiglia

Il sostegno alle famiglie è fondamentale. Oltre ad aiutare i malati a riconoscere il problema, possono imparare a identificare i momenti in cui il desiderio di alcol o droghe diventa più forte, per poi sostenerli in modo speciale. Gli stimoli verso la droga o l’alcol (o altre attività che creano dipendenza, come il gioco o la pornografia) sono solitamente situazioni di solitudine, stanchezza, noia, ansia o rabbia; scoprirli tempestivamente permette di prendere contromisure per prevenire ricadute.

Quando una dipendenza patologica è stata lasciata alle spalle, è necessario vigilare con attenzione, per evitare che i pazienti ritornino a ciò che ha causato loro piacere o euforia (ai loro paradisi artificiali). È utile che il loro tempo sia ben occupato e che la loro vita sia riempita di significato: un lavoro stabile, attività di volontariato, svagarsi con la famiglia, con gli amici, servire i più bisognosi. L’escalation osservata nel fenomeno delle dipendenze dannose è legata alla crisi dei valori della società e della cultura, insieme all’attivismo frenetico, alla competitività esagerata e alla superficialità delle relazioni sociali[38].

4. Accompagnamento spirituale, Idoneità e salute

Il direttore spirituale si può trovare nella necessità di aiutare a discernere se una persona è adatta o meno ad un particolare cammino spirituale con obblighi concreti, come il celibato, nelle varie circostanze o situazioni. Sarà la stessa persona interessata a chiedere questo aiuto.

Esamineremo alcuni aspetti generali e altri elementi pratici per discernere l’idoneità dal punto di vista della salute. Non va dimenticato, tuttavia, che la cosa più importante è la vita interiore di colui che ha la funzione di guida spirituale e il ricorso alla preghiera; e che la grazia di Dio aiuta a superare grandi carenze. Partiamo dal presupposto cristiano che la persona è capace di prendere decisioni definitive, di donarsi per sempre per amore, senza perdere la sua libertà.

4.1 Aspetti generali

Le particolari esigenze di uno stile di vita – politica, esercito, arte, sport, ricerca, ecc. – richiedono condizioni di salute adeguate alle circostanze. Se questo non viene preso in considerazione, la persona corre il rischio di fallire o ammalarsi di fronte a qualcosa che supera le sue capacità. Lo stesso vale quando si intende seguire una specifica vocazione cristiana.

Nelle malattie fisiche, i dilemmi per chiarire l’idoneità sono scarsi. I problemi di personalità o di salute mentale sono più difficili, poiché la diagnosi spesso non è ovvia. Non esiste una procedura o prova di laboratorio che ci permetta di affermare con certezza il modo di essere di una persona.

In genere, per seguire un cammino vocazionale cristiano con esigenze specifiche, che determinano in modo concreto i doveri di ogni battezzato, è necessario avere una normale intelligenza, equilibrio affettivo, e non avere malattie psichiche o fisiche che impediscano l’esercizio dei doveri che si desidera assumere.

Logicamente, come già detto, una persona con sintomi psichici può avere una vita spirituale profonda, anche se forse non è conveniente che assuma nuove responsabilità[39]. Inoltre, non è escluso che con l’età possa raggiungere una maggiore stabilità o superare definitivamente il problema di salute o di personalità.

Nel discernimento può essere utile ricorrere ad esperti, come consigliato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica nel caso dei seminaristi[40]; ma la responsabilità finale non spetta a specialisti esterni. Chi ha il dovere di discernimento deve conoscere personalmente i candidati. Questa conoscenza riesce a garantire – umanamente parlando – un livello accettabile di sicurezza morale, se il tempo di prova è sufficiente.

4.2 Alcuni elementi per il discernimento vocazionale

Per decidere se una persona è adatta o meno a un determinato percorso, è necessario prendere in considerazione alcune caratteristiche. Non parleremo dell’aspetto più importane, cioè le condizioni spirituali, ma solo di una parte delle esigenze umane richieste nei candidati: la salute psichica. La prima cosa da fare è stabilire se la personalità di base è normale. Le caratteristiche pericolose della personalità, di cui abbiamo parlato, devono essere esaminate. L’emozione esagerata, un sentimentalismo o volontarismo particolarmente esacerbato, devono essere valutati con attenzione. Quando negli affetti, nelle passioni, negli ideali non c’è spazio per la ragione; quando tutto sembra sentimento, un impulso ad agire per entusiasmo, il rischio è la frustrazione e la mancanza di perseveranza.

Il passato di un essere umano, la sua storia, ha molta importanza perché è il tempo in cui si è formato come persona. Come nel Vangelo, Dio chiama coloro che che Egli vuole e non mancano oggi vocazioni che nascono da ambienti e situazioni contrarie alla fede e alle buone maniere. Tuttavia, un passato pieno di conflitti o di difetti morali, anche quando sono stati risolti, può lasciare un’impronta difficile da cancellare e rendere certi impegni, come il celibato, un compito molto arduo o addirittura impossibile.

La persistenza di comportamenti anomali nella sessualità può indicare uno squilibrio psicologico ed essere, anche per questo motivo, un segno di inadeguatezza. Altre difficoltà, come la tendenza omosessuale radicata, sono un ostacolo più evidente[41].

Chiunque abbia eccessivi problemi nel vivere una determinata virtù non è un buon candidato, se non migliora. Un difetto di castità può riflettere immaturità o patologia. Coloro che desiderano vivere il celibato apostolico, con una donazione a Dio nella rinuncia a formare una famiglia, e che mantengono gravi problemi di purezza possono rompersi psichicamente rendendosi conto che le loro azioni non sono coerenti alla scelta di vita che hanno deciso di intraprendere.

Qualcosa di simile si potrebbe dire di una suscettibilità esagerata, di una forte tendenza ai paragoni con altri, di un’eccessiva attenzione alla salute, al cibo o di una notevole difficoltà nell’essere sinceri.

Maturità necessaria per prendere decisioni definitive

La maturità è fondamentale per prendere decisioni definitive. Le carenze possono significare ritardi nello sviluppo della personalità, segni di malattia o semplici difetti.

Alcune carenze sono più importanti quando si presentano dopo aver superato l’infanzia: alcuni esempi ne sono il non accontentarsi di niente, l’insoddisfazione permanente, la sensazione di essere fraintesi, l’eccessiva selettività nel trattare con gli altri, capricci abbondanti, ostinazione, mancanza abituale di buon senso, difficoltà di programmazione delle attività e di riposare, far sempre ricorso al passato come scusa, suscettibilità quasi morbosa, gelosia, invidia, vanità, eccessiva dipendenza da ciò che diranno gli altri, attaccamento alle cose superficiali (moda, musica, ecc.);

l’emotività esagerata e reazioni sproporzionate, nervosismo di fronte alle normali circostanze della vita ordinaria e alle piccole difficoltà della giornata, pensare troppo alle idee o correzioni ricevute, difficoltà a manifestare il proprio modo d’essere e mancanza di sincerità, distorsioni della realtà, uso improprio del denaro e del tempo, poca tolleranza della frustrazione, frequenti variazioni di umore e rigidità o mancanza di flessibilità.

Discernimento della persona unica e irrepetibile

Nel discernimento, si deve prendere in considerazione ogni persona individualmente. È difficile che una persona buona, ma immatura o con notevoli debolezze di personalità, possa vivere il celibato. Prima di consigliare di assumere tale impegno, è necessario assicurarsi che la persona abbia il giusto equilibrio, anche per non pregiudicare un possibile processo di crescita o di guarigione.

Le malattie psichiatriche rilevanti sono anche un segno per sconsigliare un cammino vocazionale specifico. In particolare la schizofrenia, altre malattie psicotiche, il disturbo bipolare, la depressione endogena, il disturbo ossessivo-compulsivo, la tossicodipendenza, ecc. Anche i disturbi di personalità rendono una persona inadatta, almeno fino a quando non li ha superati stabilmente, il che richiede anni. La prognosi di questi disturbi, come abbiamo visto, è incerta, e peggiora quando i disturbi iniziano ad una età più giovane.

È importante individuare questi casi e conoscere la storia della famiglia, anche sapendo che il fattore ereditario non determina totalmente il modo di essere. In generale, si dovrebbe essere particolarmente cauti quando i candidati sono molto nervosi, o con idee e reazioni fuori dal comune. Quando si notano caratteristiche pericolose, la storia familiare diventa più rilevante.

Discernimento nella malattia psichica

Molte malattie psichiche si manifestano prima dei 25 anni – almeno con elementi che permettono di sospettarle – ma a volte i sintomi appaiono più tardi. Per questo vale la pena ricordare alcuni dei tratti che predispongono alla malattia: timidezza esagerata, complessi o traumi, eccessiva insicurezza, tendenza all’isolamento, fobie sociali o di altro tipo, mancanza di autocontrollo, pensieri ossessivi, reazioni compulsive o impulsive, perfezionismo e forte volontarismo.

Quando è necessario valutare l’idoneità di una persona, è necessario avere la sicurezza -almeno morale – che sia adatta al passo che desidera compiere. Non sarebbe sufficiente una generica speranza che possa migliorare. È anche inappropriato tenere queste persone a lungo in una situazione di provvisorietà, senza decidere, soprattutto se è in gioco l’orientamento definitivo della loro vita.

L’aiuto di medici o psicologi nel compito di discernimento è utile, ma non fondamentale. Normalmente, l’opinione di coloro che conoscono e vivono con il candidato è più che sufficiente. Tuttavia, una consultazione può essere consigliabile quando, dopo un periodo di tempo sufficiente e una profonda conoscenza da parte dei responsabili del discernimento, rimane qualche dubbio: “È qualcosa di transitorio? Potrà cambiare un’abitudine così dannosa con un farmaco e con più tempo?”.

Naturalmente, deve essere ottenuto il consenso esplicito del candidato e tenuto in grande considerazione l’obbligo di segretezza di questi professionisti. Le informazioni ottenute in una visita medica o psicologica appartengono al paziente, che può farle vedere a chi ritiene opportuno.

I test psicologici

I test psicologici, sebbene molto utili al medico che in breve tempo deve arrivare ad una diagnosi accurata, non sono indispensabili e neppure sempre sicuri per decidere l’idoneità. Essi sono solitamente effettuati sotto forma di questionari.

Se un’alterazione della personalità è così importante da alterare significativamente i test, cioè da rilevare o indicare gravi problemi di personalità, è chiaro che le persone responsabili della decisione circa l’idoneità dei candidati se ne sarebbero già rese conto: alla fine, il test psicologico potrebbe al massimo confermare i dati estratti dall’esperienza di vita con il candidato in questione.

Preservare la propria vocazione

Questo paragrafo sarebbe incompleto se non se non menzionassimo coloro che, dopo aver preso un impegno definitivo nel cammino vocazionale, si rendono conto di trovarsi in circostanze come quelle sopra citate: è stata loro diagnosticata una malattia psichica, hanno difficoltà nella virtù della castità nonostante si siano impegnati al celibato, scoprono gravi insufficienze nella loro personalità, e così via.

Potrebbero essere forse spinti a concludere: “Come vedete, non ero adatto, quindi siamo arrivati fin qui…”. La conclusione, secondo la logica soprannaturale, che non si allontana dalla giusta logica umana, dovrebbe andare in un’altra direzione: “Dio, che mi conosce perfettamente, voleva che io fossi con Lui dove sono

L’ideale di preservare la loro vocazione e di rinnovare la risposta positiva alla chiamata può aiutarli ad affrontare i problemi in modo più deciso e riaffermare il senso della loro vita, che è sempre positiva e va anche a beneficio della salute. Nella direzione spirituale, è necessario aiutarli a riflettere, a non affrettarsi, a mettere in atto tutti i mezzi per migliorare e andare dal medico se necessario[42].

Con la luce dello Spirito Santo, l’opinione di un sacerdote esperto e di un medico cristiano prudente e bravo, potranno ricevere il consiglio più appropriato, adatto alle loro circostanze. Col passare degli anni, chi si lascia guidare dalla Grazia, chi si preoccupa di pregare prima di pensare, per poter agire in seguito, sperimenta la serenità che Dio non si sbaglia, a differenza di noi uomini.

 

Alla fine di questo articolo, speriamo che sia più chiaro come l’accompagnamento spirituale, in un clima di apertura, spontaneità, semplicità, affetto e comprensione, aiuti i malati ad affrontare soprannaturalmente i loro disturbi; ed anche come sia efficace nel prevenire alcuni sintomi, migliorando il carattere e promuovendo comportamenti di vita sana che hanno il Signore come loro modello.

Abbiamo visto il valore davanti a Dio della malattia fisica e psichica; e abbiamo compreso meglio il rapporto tra le dimensioni dell’essere umano, e come lo spirito è in grado di “tirare su” tutto l’organismo; un organismo che deve essere curato, con il lavoro ordinato, riposo, sonno, umorismo, ecc. affinché possa rimanere a lungo un buono strumento di evangelizzazione.

Vorremmo ricordare che il direttore spirituale deve saper scoprire – o almeno intuire -, con buon senso, che certi sintomi corrispondono a una malattia e non a quella che potrebbe essere una mancanza di lotta, abbandono, pigrizia o tiepidezza, tenendo presente che entrambe le realtà possono verificarsi contemporaneamente. Certe ansie e squilibri nascono quando una persona non vuole “tagliare” con ciò che la separa da Dio e cerca di condurre – a volte senza rendersene conto – una doppia vita, anche se solo sul piano del pensiero.

Non tutto è malattia psichica

Tuttavia, è necessario fare attenzione a non attribuire certi comportamenti ad un disturbo psichico prima del tempo, quando rientrano piuttosto all’interno dei normali ostacoli che ogni persona sana incontra nella vita e dal cui superamento dipenderà molto della propria maturità personale.

Le persone non dovrebbero mai, come abbiamo detto, essere etichettate[43]Ci deve sempre essere la speranza di una guarigione o almeno che certe caratteristiche dannose del carattere possano essere migliorate. Anche se non si può eliminare completamente la malattia, si può sempre modificare il proprio atteggiamento nei suoi confronti: vederla con più ottimismo, come figli di Dio.

Ogni cristiano, sano o malato, dovrebbe esercitarsi, secondo le sue possibilità, nell’uscire da se stesso, per volgersi verso Dio e verso gli altri. Questa capacità è chiamata autotrascendenza ed è un segno di salute spirituale e psichica. La condizione opposta è l’egocentrismo, che diventa molto dannoso.

L’autotrascendenza è essenziale ed esclusiva dell’essere umano. È già presente nei bambini e spinge fuori da sé, permette di integrare in un piano superiore – quello che potremmo chiamare personale –, al di là del sé psichico, le tendenze naturali e altri fattori condizionanti. Sant’Agostino scrisse: «I bimbi sono più deboli dei piccoli degli animali nell’uso e nel movimento delle membra e nelle facoltà di conseguire e di evitare. Sembrerebbe che il vigore dell’uomo si levi con tanta superiorità sugli altri animali allo stesso modo che una saetta, tirata indietro mentre si tende l’arco, potenzia il proprio slancio»[44].

Rafforzare l’autottrascendenza nell’accompagnamento spirituale dei malati

Questa capacità deve essere rafforzata nella direzione spirituale. Bisogna aiutare tutti affinché nessuno si concentri troppo su se stesso, sui propri bisogni o sulle proprie difficoltà, ma che si sforzi di rendere la vita e la via verso il Cielo amabile anche agli altri. Dobbiamo sapere come sfruttare le tensioni, il dolore, la malattia: la limitazione diventerà una forza maggiore per slanciarci verso l’alto e in avanti, come la freccia.

Giovanni Paolo II ha ricordato che «nessuna adeguata stima dell’uomo o dei requisiti per il compimento umano e il benessere psico-sociale possono essere fatti senza rispetto per la dimensione spirituale e la capacità per l’autotrascendenza»[45].

Note e riferimenti dell’ articolo

[1] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, 11-II-1984, n. 31. L’analisi completa di questo documento esula dai nostri obiettivi. Segnaliamo alcune idee: la sofferenza favorisce la maturità interiore e la grandezza spirituale dell’uomo (nn. 21-22 e 26); la dura prova del dolore contiene una chiamata a perseverare e sopportare ciò che infastidisce e ferisce; porta a trovare il senso della vita (n. 23); di fronte alla sofferenza degli altri, a volte è possibile solo la compassione; la propria pienezza non si trova senza donarsi agli altri, senza il dono di sé (n. 28), che porta a scoprire un’altra ragione della sofferenza: irradiare amore (n. 29).
[2] Cfr. San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 439.
[3] San Josemaría Escrivá, Solco, n. 887.
[4] Sant’Agostino, La città di Dio, XII, 22, 3.
[5] Per ampliare le conoscenze teoriche e pratiche su questo argomento e sulle patologie che vedremo, suggeriamo di leggere i capitoli corrispondenti di: Javier Cabanyes e Miguel Ángel Monge (redattori), La salud mental y sus cuidados, Eunsa, Pamplona 2010.
[6] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret I, Rizzoli, Milano 2007, p. 212.
[7] San Josemaría Escrivá, Amici di Dio, n. 124
[8] Cfr. Luis de Moya, Sobre la marcha. Un tetraplégico que ama la vida, Edibesa, Madrid 1997 (3ª), p. 197.
[9] Raramente le demenze compaiono nei giovani, anche al di sotto dei quarant’anni: in questi casi, di solito sono legate a traumi cranici, a malattie infettive, come l’AIDS, o a problemi degenerativi ereditari.
[10] Anche quando una persona è in coma profondo o in uno stato vegetativo persistente, in cui non si osserva alcuna risposta agli stimoli, è bene dire ad alta voce preghiere, per favorire l’unione con Dio, la speranza del Cielo.
[11] Cfr. Manuel Martín Carrasco, Atención a enfermos con demencia, in La salud mental y sus cuidados, cit., pp. 431-439.
[12] Cfr. Claus Hamann, Kenneth L. Minaker, Approach to Frailty in older adults, in Allan H. Goroll, Albert Mulley (a cura di), Primary Care Medicine, Wolters Kluwer e Lippincott, Philadelphia 2009, pp. 1550-1553.
[13] La vita interiore e l’apostolato ringiovaniscono le persone: cfr. S. Josemaría Escrivá, Solco, n. 79.
[14] M. Cornelia Cremens, Management of Alzheimer’s diseases and related Dementias, in Primary Care Medicine, cit., pp. 1207-1219; Miguel Ángel Monge, Enfermedad y vejez, in M.A. Monge (editor), Medicina pastoral, Eunsa, Navarra 2002, pp. 183-186.
[15] Per una comprensione più approfondita dell’argomento: Miguel Ángel Monge e Purificación de Castro, La muerte, final de la vida humana, in Miguel Ángel Monge (editore), Medicina pastoral, cit., pp. 190-222.
[16] Ibidem, pp. 190-201.
[17] Per casi specifici, vedi: Maurizio Calipari, Curar y hacerse curar, Editorial de la Pontificia Universidad Católica Argentina, Buenos Aires 2007; Lino Ciccone, Bioética. Historia, principios y cuestiones, Palabra, Madrid 2006; www.eticaepolitica.net; altre pagine di bioetica, su: www.almudi.org
[18] Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli operatori sanitari, 1995, n. 116.
[19] Cfr. San Josemaría Escrivá, Cammino n. 744: «Tu – se sei apostolo – non dovrai morire.
Cambierai di casa, e nient’altro».
[20] Ernesto Aviñó Navarro, Obsessive Compulsive Disorder, in La salud mental y sus cuidados, cit., pp. 369-376.
[21] Salvador Cervera Enguix, Trastornos depresivos, in La salud mental y sus cuidados, cit., pp. 333-343.
[22] San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 706; cfr. anche n. 723.
[23] Cfr. Gordon W. Allport, Psicologia della personalità, Pas-Verlag, Zürich Roma 1969, p. 24.
[24] San Josemaría Escrivá, Forgia, n. 468.
[25] Cfr. Javier Cabanyes Truffino, Personalità, in La salud mental y sus cuidados, cit. pp. 85-98.
[26] Una preziosa analisi dell’egocentrismo si trova in: Joan Baptista Torelló, Psicología y vida espiritual, Rialp, Madrid 2008, pp. 110-127.
[27] San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 837.
[28] Santa Teresa de Lisieux, Storia di un’AnimaManoscritto C (278)..
[29] San Josemaría Escrivá, Forgia, n. 252.
[30] San Josemaría Escrivá, Solco, n. 762.
[31] Benedetto XVI, Spe Salvi, n. 24.
[32] Santa Teresa di Gesù, Libro della Vita, in Opere complete, Paoline, Milano 1998, cap. 9.
[33] Javier Schlatter Navarro, Juan Carlos García de Vicente, Dificultades en la orientación sexual, en La salud mental y sus cuidados, cit. pp. 357-368
34 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2352.
[35] Viktor Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia 1972, p. 200.
[36] Pedro Antón Fructuoso, Conductas adictivas, in La salud mental y sus cuidados, cit. pp. 387-394; José Ramón Varo, Adicción al alcohol y a drogas, in ibidem, pp. 395-405.
[37] Cfr. Miguel Ángel Monge, Pastorale terapeutica, in Medicina pastorale, cit., pp. 449-477
[38] Cfr. Carta degli operatori sanitari, cit. nn. 92-103.
[39] Cfr. Miguel Ángel Monge Sánchez, Vida espiritual y enfermedad psíquica, in La salud mental y sus cuidados, cit. pp. 201-212.
[40] Cfr. Congregazione per l’educazione cattolica, Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio, 30 ottobre 2008.
[41] Cfr. Id., Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri, 4 novembre 2005.
[42] Si veda quanto detto su come affrontare i disturbi dell’umore nella sezione 3.5.
[43] Ci sono anche molti psichiatri che preferiscono non mettere delle etichette ai pazienti con sintomi psichici, poiché sono consapevoli della grande varietà di malattie.
[44] Sant’Agostino, La città di Dio, XIII, 3.
[45] Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’American Psychiatric Association, 4 gennaio 1993.

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