L’accompagnamento spirituale dei malati (I)
Gesù è la luce per capire il senso della sofferenza |
Aiutare chi soffre è un compito entusiasmante
Nessun medico può non considerare gli aspetti spirituali dei suoi pazienti. Nessun direttore spirituale può dimenticare che la persona umana ha un corpo, una psiche e uno spirito. Presenteremo in 4 parti alcune note pratiche che possono essere utili per il lavoro di chi accompagna spiritualmente chi soffre di una malattia. Anche per la famiglia e gli amici, che possono aiutare molto nella cura complessiva di un malato. Inizieremo oggi con un’introduzione, seguiremo con la malattia fisica, e poi ci occuperemo di alcuni disturbi psicologici. Alla fine diremo qualcosa sulla salute necessaria per una certa vocazione.
1. Il cristiano e la malattia
La malattia porta il malato a porsi molte domande. Le più immediate e comuni sono: “Perché io? Perché adesso?”. È facile, di conseguenza, interrogarsi sul significato profondo di essa. Il primo obiettivo della direzione spirituale di un malato sarà quindi quello di aiutarlo a scoprire il senso della sua malattia. Non è qualcosa che si può imporre dall’esterno; il paziente deve cercarlo e farlo proprio, secondo un itinerario molto personale.
Per il cristiano la sofferenza ha un senso, anche se non è pienamente comprensibile. Il punto di partenza è la passione e la morte del Signore, il quale con il suo dolore ha assunto ciò che è nostro e lo ha riempito di luce. La radice è nella Croce, «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1, 23), e nella certezza che il dolore ci rende co-redentori e reca beneficio a tutta la Chiesa, come afferma San Paolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).
La malattia è permessa da Dio come conseguenza della debolezza contratta dalla natura umana dopo il peccato. Certamente, quindi, non è un bene in sé, per cui quando può essere evitata, la si evita. Tante volte, tuttavia, non c’è la possibilità di evitare le malattie. È il momento di dire sì alla Volontà di Dio, di crescere nell’amore, di maturare umanamente e spiritualmente: il dolore rimarrà un mistero, ma un mistero aperto che mette davanti ai nostri occhi il limite e la finitezza dell’esistenza terrena e apre la porta alla vita futura, la Vita eterna.
La vita di Giobbe, benedetta da Dio con abbondanza di beni e di figli e improvvisamente privata di tutto questo, è un paradigma di accettazione del dolore. Gli amici che gli si avvicinano per confortarlo tentano di convincerlo che tutti i suoi mali sono il frutto delle sue colpe passate (cfr. Gb 4,8-10). Giobbe, tuttavia, è consapevole della sua innocenza. Dal primo momento ha mantenuto la fede e ha detto: «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21). Nella dura prova, resistendo alla propria moglie che lo incita a rinunciare a Dio, egli rimane fedele (cfr. Gb, 2, 10). La risposta del Creatore, che interviene alla fine del libro, è un invito alla pazienza. Fa sapere a Giobbe che non può capire tutte le ragioni e, di fronte alla sua umiltà, gli restituisce i suoi beni moltiplicati (cfr. Gb, 38-42). Giovanni Paolo II, con abbondanti riferimenti a questo testo dell’Antico Testamento, riassume l’argomento con le seguenti parole: «Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. È soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione»[1].
Piangere, commuoversi di fronte al dolore o la morte di una persona cara, è così umano che Gesù stesso ha voluto lasciarci la sua esperienza (cfr Gv 11,33-39). Nell’accompagnamento spirituale di chi soffre, un atteggiamento fondamentale è la compassione e l’empatia: farsi carico di ciò che gli succede e, per questo, ascoltarlo. Un gesto può essere più benefico di centinaia di parole. Si tratta di aiutare i malati a guardare a Dio e agli altri: questo è il modo per scoprire il senso della sofferenza. Giungerà ad essere compreso solo un dolore che abbia ragione di essere come sacrificio, come dono, come prova o «pietra di paragone dell’Amore»[2]; questo lo trasformerà in un bene – in un certo senso – per chi soffre e per gli altri.
San Josemaría ebbe a dire: «Questa è stata la grande rivoluzione cristiana: trasformare il dolore in una sofferenza feconda; fare, di un male, un bene. Abbiamo spogliato il diavolo di quest’arma…; e, con essa, conquistiamo l’eternità»[3].
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come «uno stato di perfetto benessere fisico, psichico e sociale». Considera le tre dimensioni in stretta relazione. Ogni crepa o fessura in una di queste dimensioni ha ripercussioni sulle altre. L’alterazione organica può essere causa di disturbi psichici; il disturbo psichico può determinare un’alterazione organica; le difficoltà spirituali, anche se non sono menzionate dalla OMS, possono causare alterazioni psichiche e fisiche. È sempre la persona intera che soffre.
La convinzione dell’unità dell’essere umano, con il primato della dimensione spirituale, ci porta a comprendere che ogni malato è unico e a trattarlo di conseguenza. Il malato non sarà mai “un problema”, ma una persona irripetibile che ha un problema. In questo senso vanno letti i suggerimenti di queste righe, che si riferiscono principalmente alla cura spirituale dei malati. Alcuni di questi consigli potranno essere utili ai membri della famiglia, che condividono il dolore di una persona cara e possono provare in sé stanchezza e dolore.
Distingueremo la malattia fisica da quella psichica, anche se ci sono molte interrelazioni e complementarietà tra quanto spiegato in una sezione e l’altra. Ci occuperemo di chi cerca il significato del proprio dolore e con chi condividerlo. Questo è un compito fondamentale della direzione spirituale. La malattia ricorda a tutti gli esseri umani che siamo di passaggio; e ai cristiani che siamo in cammino verso il Cielo, che «è da compiangere l’infelicità di questa vita e da desiderare la felicità dell’altra»[4].
Ci soffermeremo maggiormente sugli aspetti psichici, sia a causa del loro intimo rapporto con la sfera spirituale[5], sia perché nelle malattie fisiche – soprattutto nelle malattie croniche – di solito è presente anche una sintomatologia psichica che, per il modo in cui si verifica, può essere sconcertante per il paziente e per chi lo conosce. Le descrizioni e i suggerimenti serviranno a comprendere meglio i malati, a valutare la possibilità che ci sia un problema di salute e a guidarli correttamente. La direzione spirituale non ha come scopo né come oggetto la salute, ma contribuisce al benessere della persona. Le risorse spirituali impediscono la comparsa di alterazioni e promuovono la buona salute. Il cristiano sa che la salute non è il valore principale, ma si prende cura di essa per poter servire meglio e più a lungo Dio e gli altri. Il medico, il direttore spirituale e tutti coloro che sono in qualche modo vicini al malato devono lavorare insieme per il suo bene, evitando dare dei consigli fra loro contraddittori.
L’obiettivo di queste righe è quello di proporre alcuni strumenti di base e le conoscenze utili alla direzione spirituale. Per questo motivo, le spiegazioni scientifiche sono di carattere generale e ausiliario, e non vengono illustrate in modo esauriente né le patologie né le forme di terapia, che variano a seconda delle diverse correnti mediche o psicologiche e delle circostanze di ogni paziente.
Le parole con cui Benedetto XVI riassume le capacità conferite da Gesù ai dodici apostoli di «guarire ogni sorta di malattie e d’infermità» (Mt 10,1) sono utili a chiunque debba relazionarsi con le persone che soffrono: «Chi vuole veramente guarire l’uomo, deve vederlo nella sua interezza e deve sapere che la sua definitiva guarigione può essere solo l’amore di Dio»[6].
[1] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, 11-II-1984, n. 31. L’analisi completa di questo documento esula dai nostri obiettivi. Segnaliamo alcune idee: la sofferenza favorisce la maturità interiore e la grandezza spirituale dell’uomo (nn. 21-22 e 26); la dura prova del dolore contiene una chiamata a perseverare e sopportare ciò che infastidisce e ferisce; porta a trovare il senso della vita (n. 23); di fronte alla sofferenza degli altri, a volte è possibile solo la compassione; la propria pienezza non si trova senza donarsi agli altri, senza il dono di sé (n. 28), che porta a scoprire un’altra ragione della sofferenza: irradiare amore (n. 29).
[2] Cfr. San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 439.
[3] San Josemaría Escrivá, Solco, n. 887.
[4] Sant’Agostino, La città di Dio, XII, 22, 3.
[5] Per ampliare le conoscenze teoriche e pratiche su questo argomento e sulle patologie che vedremo, suggeriamo di leggere i capitoli corrispondenti di: Javier Cabanyes e Miguel Ángel Monge (redattori), La salud mental y sus cuidados, Eunsa, Pamplona 2010.
[6] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret I, Rizzoli, Milano 2007, p. 212.